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venerdì, dicembre 13, 2024

L’inverno

 la morbidezza di Ettore, appena torno a casa.

i suoi baffi bruciacchiati dalle candele di natale. per caso.

il freddo alle mani che congela.

i vestitini stretti, i collant neri, le lucine blu sui balconi.

la nebbia dietro le finestre, ma più di tutto davanti ai fari dell’auto confusi.

il silenzio che è una coltre fittissima dentro di me mentre fuori si addensano le parole, degli altri, le mie, fredde, freddissime anche loro.

non sono brava in inverno a trattenere questo calore, mi sembra sempre di dover scaldare gli altri, prima di me.

chissà quando lo imparo, a proteggermi, ad essere morbida, anch’io. meno confusa su cosa valga la pena scaldare, dentro me, di me.

e soprattutto quante parole ancora, che se solo mi ascoltassi sarei certa di accorgermi di una quiete che non va riempita. Già che l’inverno sono io. Con la mia brina, sui pensieri. Bellissima, ghiacciata. 

La primavera pure. 

L’autunno lontano, anche.



venerdì, aprile 20, 2012


E mi fermo un attimo.
e accavallo i pensieri come si accavallano le gambe a volte, lentamente, sotto il tavolo, una sull'altra, piano.
C'è qualcosa che è umido nell'aria. e non è la pioggia, sono io. gli umori, i miei, invece di farli colare giù, via, li assorbo come terra.
E cerco di farmi nuvola e poi pioggia. Perché germoglino in me, da me, pensieri nuovi. Verdi, tiepidi.
Presto. Senza aspettare.
È fatto di vapore, il tempo.



sabato, giugno 18, 2011




Dieci centimetri di terra e fili d'erba. Era chinata su dieci centimetri di terra e fili d'erba e cercava lucertole. O coleotteri. China, al sole, su dieci centimetri di terra, i capelli arruffati, la schiena curva, sembrava un girasole d'autunno. Dieci centimetri più in là, le sabbie mobili. Dieci più dieci, venti centimetri. Terra, fili d'erba, coleotteri e fango.

Uno, due, tre, quattro riflessi allo specchio. Un pugno al dispenser di spazzolini alla luce del neon, in autogrill. Incantata, aspettando uno spazzolino, quattro riflessi alla luce del neon. Perché li tengono sempre accesi? si chiedeva. Una luce bianca, la ceramica fredda e lo spazzolino bloccato. Se potessimo galleggiare nell'aria, specchi così lunghi servirebbero a poco. Senza i neon servirebbero ancora meno. pensava.

Ho rotto un uovo. L'avrà mangiato il mio gatto. Ho un gatto davvero brutto. E grasso. diceva, mentre lo spingeva giù dallo zabuton per farlo rotolare sopra il tatami. Sei fiori di ciliegio sul davanzale. Neko, sei fiori di ciliegio, l'uovo e il suo uomo. Ho un gatto rosso davvero brutto. E grasso. diceva, mentre lui la teneva per mano passeggiando tra i ciliegi in fiore.

Dell'estate avrebbe scritto solo alla fine.

mercoledì, dicembre 01, 2010

E poi... i giorni come questi, che sono giorni ovattati come il feltro. ma più morbido e più trasparente. Come cotone. Ci sono giorni come questi che sono come il cotone.
Che i suoni, gli odori, i colori, passano attraverso una coltre trasparente. Arrivano lo stesso, con lo stesso peso, la stessa intensità, ma diluiti.
E non ti senti protetto dentro un uovo, non ti senti nemmeno schiacciato come sotto una pila di materassi, ti senti inerme.

E ti strappi da solo a tanta vulnerabilità, aggrappandoti ad un pensiero qualunque che senti vicino e fermo.
E sono i fiori d'autunno, il mio. e il pensiero di quanto sarà felice quando li riceverà.

venerdì, settembre 24, 2010

Post-it

In questi giorni mi sento molto una donna da chanel n°5.
Sarà l'autunno.

lunedì, settembre 20, 2010

Nuova prospettiva

C'è una vena d'argento che scorre sotto terra nel mio mondo. S'aggrappa alle mangrovie, alle radici dei narcisi, gira intorno alle tane dei tassi e dei conigli, non rompe nulla e non affiora mai in superficie. Si alimenta, la mia vena, s'ingrossa e gonfia con le piogge. Fa un giro intorno alla mia vita dal mio ventre, prima di partire e di infilarsi nella terra.
Non ne conosco i limiti, del bosco, e mi alimenta, la mia vena, mentre io, spaventata e in attesa, rimango immobile aspettando che mi sciolga o che fiorisca su di me. da me.


venerdì, giugno 11, 2010

Se affiorano, falli affiorare.

Era lì, in questi mesi dell'anno e scandiva le mie giornate, quasi come un ombrello sotto braccio ad un uomo con un impermeabile giallo in inverno, o come il costumino con un papero di una bambina in estate, o come le foglie per terra sui viali d'autunno, era la primavera. Era una ciotola di frutta sul marmo nero, io entravo in cucina ed era piena di piccole pere verdi. Passando, ne prendevo una e continuavo a gironzolare per casa, giocando col cane, ballando in salotto, dipingendo qualcosa.
Il sapore è soprendentemente uguale dopo tanti anni.
Un identico sapore e un'identica goccia che scivola dalle labbra sotto il mio mento, anche se quella ciotola non c'è più, né ci sarà mai più, per fortuna.


domenica, ottobre 25, 2009

Non è umida.

Mozza le teste dei grattacieli ma è più gentile ai piani bassi, fa da cortina alle finestre.
La nebbia non è una donna che si stende sulla città di notte, non è uno dei suoi veli, non è il suo respiro, non è il candore freddo della sua pelle.
Scivola a sguardo chino nei vicoli bui. E' meschina e traditrice, copre i finestrini delle auto di passaggio, ma non nasconde le cosce nude alle puttane.
Raffredda le lacrime degli infelici ma non le gela, scendono lo stesso e sono ancora più insopportabili.
Accerchia i palazzi e dai balconi assiste complice e connivente alle liti notturne, assorbe il bagliore del televisore acceso in salotto, e seduce il buio dell'abatjour che si è appena spenta in camera da letto.
Passa dentro le serrature di ferro nei capannoni e serpeggia intorno alle ossa degli operai, riesce a prenderle e avvelenarle fino al mattino.
Si siede sugli autobus, fredda i sedili di plastica e non discute con il conducente, che guida solo.
Cerca di entrare nei night e si lascia sbattere fuori dall'alito caldo delle spogliarelliste.
Arrugginisce gli ingranaggi degli orologi, bagna le foglie ma è asciutta e secca sulle labbra, è voluttuosa e vanitosa.
Se un suono dolce attraversa la notte, rapida e acrimoniosa, lo ovatta.
La nebbia non è un uomo dissoluto o rancoroso, non è una delle sue tasche strappate, non è la sua saliva umida, né una delle sue rughe troppo scavata e sporca.

C'era un signora, in sala d'attesa. Una signora grassa, su un divano esile nero, con i cuscini neri gonfi. Leggeva un libro sottile, foderato di carta per cassetti. Leggeva un libro, sotto la carta a gigli neri, che era un harmony.

La nebbia è la carta di quel libro, in mano a quella signora. Vestita di nero come la notte.




domenica, ottobre 18, 2009

E poi c'era una foglia. ma invisibile.

Si attorciglia. e sale su da terra, si arrampica.
Puoi tentare di divincolarti. puoi anche chinarti e provare a romperlo. spezzarlo.
Ma lui si attorciglia. si attorciglia dentro e fuori.
e non improvvisa. si attorciglia sinuoso e perfetto.
sembra un germoglio, se guardi bene potresti giurare d'aver visto delle foglie.
piccole, quasi spine, morbide. ma delle foglie. verdi. su un germoglio verde.
che s'attorciglia.
giustamente ti vien voglia di scappare. di allungare il passo e strappar via tutto.
o sfilare pian pianino il piede, e sottrarti lentamente.
ma lui, per convincerti, il maledetto, di punto in bianco ti fa un fiore!
t'è sbocciato un fiore! sulla gamba attorcigliata!
e allora di corsa torni indietro e ti chini a riguardare.
oh sì, è proprio un fiore. t'ha fatto un fiore, quell'infame!
così decidi d'aspettare. che magari ci ripensa.
aspetti che si sciolga. che ti sleghi. che si richiuda all'improvviso.
e lo guardi. e aspetti. e pensi.
che poi magari un fiore non è cosa così grave. puoi sempre metterlo in un vaso.

...con delicatezza allora allunghi le dita sotto i petali, segui il suo giro con lo sguardo, e al momento di tagliare, ti giri di schiena su te stesso...

ma il Caso, furbo, mentre tu non te ne accorgi, ti è fiorito sulle spalle.

ti distoglie dal tuo intento. ti rialzi ubriacato.
guardi ancora. non capisci.
c'è un profumo troppo intenso. e solo un fiore sul polpaccio.
guardi avanti. fai un passo per andare. che ti liberi. ti sleghi!
lui invece non ti molla!

non inseguire quel profumo.
o vedrai che bel groviglio.

giovedì, ottobre 15, 2009

Post-it

Passo sempre la mano sul termosifone per controllare, ma quel primo giorno dell'anno in cui è caldo, io mi sento felicissima.


martedì, ottobre 06, 2009

Volevo essere uno zigolo.

Alcuni uccelli migratori imparano ad orientarsi da pulcini.
Stanno nel nido a guardare le stelle per mesi, e al primo volo sapranno volare seguendo le rotte astrali.

giovedì, settembre 17, 2009

Umido

E poi c'era un cane, un cane beige con le orecchie lunghe. Un cane beige con le orecchie lunghe e la pancia a terra. Un cane dai sogni miti, fatti di gatti sopra la grondaia, di chiavi nella toppa e il rumore del guinzaglio. C'è un cane, beige, e dorme davanti al suo cancello.
I fiori di glicine, bianco, sono caduti tutti, i mattoni hanno iniziato a inumidirsi e le ringhiere a scaldarsi tardi, al mattino.
C'era un gatto dentro il giardino di bouganville, adesso lo si vede poco, rimane al caldo. Sta sul davanzale, il gatto, con la finestra aperta e le tende alzate.
I fiori delle ortensie e delle rose sono morti, ma in giardino c'è un angelo di pietra. Sul tavolino, l'angelo, tiene le gambe una sull'altra, sta di guardia, al verde, prima che sbiadisca.
C'era anche una signora, una signora vecchia, affacciata al suo balcone, annaffiava di continuo i suoi gerani. I fiori dei gerani sono appassiti ma lei continua ad annaffiarli tutti i giorni e l'acqua cola giù dai vasi fino in strada.

Nei giorni di pioggia, la pioggia, li cancella.
e nulla accade.
Solo la pioggia e l'angelo di pietra.

domenica, agosto 16, 2009

Quando poi uno torna, ma non torna.

Poi dicono che uno ogni tanto deve fare un Bilancio...
aggiungere qualche Numero alla situazione, una Percentuale, per farle fare il Punto.

Quindi ecco il Bilancio.
Scalati settecentoottantotto metri, trascorsi otto giorni in barca a vela, scattate quattrocentocinquantaquattro foto, 75% del parentame accontentato, adottati cinque cuccioli di gatto, quattro giorni di villeggiatura al mare, comprata una bellissima borsa GABS gialla, n° tre incubi in cui Berlusconi mi perseguita, zero partite a carte vinte, avvistati cinque delfini, un compleanno di fidanzato festeggiato, mangiato cinque crepes alla nutella, comprato uno spazzolino nuovo, novecentocinquantotto chilometri con auto a noleggio, una partita a monopoli, rincontrati per caso n° tre vecchi compagni di scuola, un topolino piovuto dal cielo, acquisito un 68% di colore in più, due bagni di notte, un libro iniziato e finito, ma soprattutto... dieci giorni alla fine della pacchia, o presunta tale.

Perché il tutto, detto così, potrebbe anche risultare esilarante ed in effetti è stato molto divertente, ma la vera verità è che a me le vacanze mi stancano e mi stressano, e se oggi sono di riposo a casa dei miei e vi rimarrò fino a fine agosto, questo non significa che io non veda l'ora di riprendere la mia adorabile solita routine invernale.


Qualcuno, scherzando, l'ha buttata lì (e Ben si è dispiaciuta, ed io mi sono dispiaciuta perché Ben si è dispiaciuta, quindi n° due dispiaciute in un colpo solo):
"La verità è che non vuoi più ripercorrere le strade del passato, eh??!"

...ecco il Punto, fatto.




PS. anche se non ha il coraggio di commentare, il Furio che è in lui non ha resistito, inter nos mi ha rimproverata... "Non è un bilancio il tuo! E' un consuntivo!"

giovedì, aprile 16, 2009

La città dei fiori



In città c'è un profumo tra le vie
e sui muri di mattoni si abbandonano leggeri i grappoli di glicine

questa finestra col suo davanzale in legno bianco
incornicia silenziosa un cielo tiepido

mentre un vento morbido
e calmo
suona il suo violino

e trema
in un brivido sinuoso

il cotone leggero
della tenda

si avvolge su se stessa

un petalo secco
danzando
elegante
si poggia sul mio tavolo

spicca la matita viola nel barattolo delle penne
e dei colori.

è nella mia mente
il profumo di camelie
fresie
e viole,
e narcisi.

martedì, gennaio 06, 2009

La Sicilia

Un tempo per questa terra nutrivo un amore assoluto ed indiscusso...

prima di andar via, mi fermavo sempre vicino al mare e immaginavo cosa vi fosse oltre, ascoltando i rumori della città, aspettando che arrivasse il freddo della sera...

amavo il suo essere tanto solare e luminosa... piena di odori e colori sgargianti...

sentivo di appartenenerle come qualcosa di naturale, spontaneo, connaturato alla mia stessa esistenza...



Una radice lì profonda fino alle viscere del vulcano... attraverso i boschi giù fino alla sabbia ed il mare. Nel mio sangue poi, si mescolano le onde del mediterraneo e la neve delle alpi.


Adesso noto le sue brutture, ciò in cui muore e non risorge, i difetti e le insanabili ferite. Noto i suoi difetti con maggior rancore e sempre minor pazienza nell'accettarli... noto nascere in me, con grande malinconia, il rifiuto per ciò che potrebbe funzionare e non funziona.


All'inizio tornare mi lasciava sempre spaesata... uscita dalla stazione, il traffico, i rumori, il sole abbagliante, la confusione mi lasciavano perplessa, confusa, sfinita due volte. Nei giorni a seguire riprendevo il feeling, ritornavo ad amare l'anarchia ed il caos delle strade, il vociare della gente, i rumori della città...


Col tempo è diventato e diventa sempre più difficile riambientarmi... mi ritrovo infastidita da dettagli a cui nessuno fa più caso... cerco soluzioni che cambierebbero le cose... finanche a rassegnarmi a questo malessere impietoso che mi assale col trascorrere dei giorni.


Mi si rimprovera questo malessere...

quando accade mi sento talmente in colpa da desiderare di non essere mai andata via. Da desiderare di non aver mai visto quanto diverse potrebbero essere le cose...



Taccio... ormai, sempre, quando mi si chiede cosa ne penso... quando mi domandano che differenze noto... quando qualcuno inizia a difenderla senza misura.


Taccio anche quando mi si chiedono i suoi pregi... non perchè io non ne trovi, ma per non dover fare conti e confronti... in un senso o nell'altro.



Taccio quando, da sola, il mio spirito ritrova pace nel freddo delle mattine del nord... in quei giorni d'autunno gelidi e impietosi... in cui il cielo è terso e puoi vedere oltre...


non è fuori luogo ripetere e sentire che in me vi è l'autunno con le sue foglie brune e ghiacciate... stagione di mezzo.




mercoledì, dicembre 10, 2008

Sui vetri delle finestre c'è la neve.

Avere una casa
non significano queste pareti, questo parquet, o una via.

Una casa sono adesso le piccole mensole di legno
strapiene dei piccoli barattoli di vetro che mi hai regalato,
sono le lenzuola stese che diventano cartapesta perchè nessuno
ha mai voglia di piegarle,
una cornice storta.
Una casa è domani l'odore del caffè,
che mi resta sulle mani,
o l'odore di lavanda vicino al mio letto.

Avere una casa non è una città, non sono i soldi nel mio portafogli,
non sono i miei timori che si rifugiano da qualche parte.

Una casa è svegliarmi ogni mattina accanto a lui,
sono le pentole sotto le finestre quando piove
o le luci colorate sul più affollato degli alberi di natale.

Avere una casa non significa non dover mai riporre negli scatoloni
e andar via... non significa dare un posto alle cose senza doverlo mai cambiare...

Una casa è un luogo, inviolabile e segreto, che fluttua nel tempo e nello spazio
oltre ogni limite e difficoltà.

La mia casa, prima di ogni cosa, sono i tuoi abbracci confortanti e sempre pronti,
è l'odore unico del tuo bucato, i tuoi occhialetti orrendi, sono sempre stati i tuoi baci caldi prima di dormire, i tuoi racconti interminabili e le risate solo nostre. I ricordi miei e tuoi.

La mia casa è grande quanto basta per tenervi tutti dentro.
Sono una piccola lumaca... ma dovunque io mi porti e chiunque io abbia accanto, tu sarai, sei e sempre resterai, il mio rifugio più prezioso. La mia casa più protetta.

Auguri Ben'

domenica, dicembre 07, 2008

Quand'ero bambina amavo questa poesia...
stasera l'ho ricordato.

Per prima cosa dipingere una gabbia
che abbia la porta aperta
quindi dipingere
qualcosa di grazioso
qualcosa che sia semplice
qualcosa che sia bello
qualcosa di utile
per l'uccello
mettere poi la tela contro un albero
in un giardino
in un bosco
o in una foresta
nascondersi dietro quell'albero
senza dire niente
e senza muoversi
talvolta l'uccello arriva svelto
ma può anche metterci anni e anni
prima che si decida.
Non scoraggiarsi
aspettare
aspettare se occorre anche per anni
la rapidità o la lentezza dell'arrivo dell'uccello
non ha nulla a che fare
con la riuscita del quadro.
Quando l'uccello arriva
se arriva
osservare il silenzio più assoluto
aspettare che l'uccello
entri nella gabbia
e quando l'avrà fatto
richiudere dolcemente la porta col pennello
e poi
cancellare una per una tutte le sbarre
avendo cura di non toccare le piume dell'uccello.
Fare a questo punto il ritratto dell'albero
scegliendo il suo ramo più bello
per l'uccello
dipingere allora il fogliame verde e la freschezza del vento
il pulviscolo del sole
il rumore degli insetti nascosti nell'erba
nella calura estiva.
Poi aspettare che l'uccello abbia voglia di mettersi a cantare.
Ma se non canta
è un gran brutto segno
è segno che il quadro è venuto male.
Ma se canta invece è un buon segno
segno che il lavoro va firmato.
E quindi voi strapperete
con grande dolcezza a quell'uccello
una sua piuma e scriverete
il vostro nome in un angolo del quadro.


Per fare il ritratto di un uccello
di Jacques Prévert



Da grande amo molto quest'animazione...



... e se i guinnes hanno senso, per me, lo ha lo zunzuncito.

lunedì, dicembre 01, 2008

Ecco, dicevo che il 1 dicembre è uno di quelli.

Ci sono dei giorni che sono come equinozi. Giorni che sembrano di cambiamento. Di trasformazione e superamento. Senza motivo, poi.
Ed il primo dicembre è sembrato a me, e me soltanto, di entrare in un nuovo anno, come un mio personalissimo intimo capodanno. ...e così mentre di sera camminando per strada, le strade erano stranamente vuote come se da un momento all'altro dovessero piovere dalle finestre e dai balconi i piatti vecchi... e mentre ero lì sulla porta a guardare un attimo la strada bagnata ed i marmi, il marciapiede ed il legno gonfio e lagnante di pioggia...
mi sono resa conto di quante finestre e quanti ingressi e quante volte è cambiato il mio orizzonte finora.
Quanti terzi e quarti e quinti equinozi all'anno vive ciascuno.
Quanti ingressi hanno superato i miei passi, a quanti viali alberati si è affezionato il mio sguardo, a quante finestre e tracce di strade.
Io ricordo bene davvero poche cose. Scordo le trame dei film, scordo le trame dei libri, scordo le musiche, scordo di prendere qualcosa prima di uscire, spesso dimentico cosa mi è stato raccontato anche se di certo per tempo avrò ascoltato con all'erta tutti i miei sensi e la mente... ma ho un equilibrio che mi permette di ricordare ciò che serve per tempo. Uno strano equilibrio che mi permette di ricordare solo sensazioni ed emozioni, dettagli. Apparentemente insignificanti dettagli. Tutto questo non senza efficaci vantaggi... posso rivedere un film più di una volta, rileggere un libro e lasciarmi affascinare di nuovo, ma soprattutto raramente... direi, mai... mi annoio. Io non mi annoio mai.
Dunque ricordo bene poche cose e sensazioni. Io ricordo distintamente tutti gli ingressi della mia vita. Non gli ingressi trionfali nelle vite altrui o le dirompenti entrate di scena nei momenti epocali, io ricordo bene e chiaramente dove ho mosso i miei passi in ogni rientro a casa, quali portoni, cortili, scale e ascensori hanno accolto i miei passi sempre più grandi.
E di case, ne ho avute fin troppe, tant'è che d'istinto sarebbe vivamente da sconsigliarmi di affezionarsi ad una via, una strada e una casa.

Sentirsi in trambusto... in balia dei cambiamenti che non finiscono mai... afferrare qualcosa per doverne subito mollare la presa... trovare un posto e allacciarvisi senza stringere troppo quei nodi...desiderare fermarsi e l'indomani poi correre... aprire la porta ed...entrare...

E il 1 dicembre è uno di quelli..
di quei giorni così... gli equinozi di ale...

Poi, nel cuore della notte del mio capodanno d'autunno è tornata fedele e rincuorante l'immagine della lumaca ed io, sempre piccola e grande, mi ci sono arrotolata per bene.
Finché finalmente, avvolta nel guscio, al riparo da tutto, mi sono addormentata.

martedì, ottobre 07, 2008

Quando meno te l'aspetti...

un bicchiere di vetro
di latte

strofinare una mela sulla maglietta finchè non è lucida.
lucidissima

un libro
che inizia

scendere dal treno mentre qualcuno
ti sta aspettando.
fermarsi davanti ai suoi occhi

prendere nuove matite colorate
senza motivo

il miele

il vento che entra dentro le maniche, il cappotto, la schiena, la pancia

ubriacarsi di un profumo
di mazzi di fiori
all'improvviso in città

orologi e intrecci di vene
al polso che scrive

le mani sotto l'acqua calda
che scorre

un libro
all'ultima pagina

attorcigliarsi

il cielo in autunno


...puoi sentirne l'emozione.