Di queste tristezze che a volte si accalcano sul confine più estremo, sottile, io ne conosco solo alcune.
Non so come, sembro contenere secoli interi di dolore. Montagne d'atomi scomposti, sinossi di esistenze, nervi spezzati che nemmeno sono miei. Epoche lontane che nemmeno io ricordo.
Sembro una diga. Contengo tutto. Finché riesco.
Le vedo, riesco a sentirle, salde, caparbie, sembra non vogliano allontanarsi mai mentre il mio, di dolore, rimane schiacciato, si fa piccolo, inverso. E se solo cerca di affiorare, come adesso, resta sommerso.
Mi è insopportabile questa infinità d'altro. È un'allerta perenne, perché quando aumenta la pressione, cerco di trattenere forte tutto dentro.
Dovrei riuscire invece a lasciar scorrere, già che è solo lui ad aver bisogno d'essere protetto.