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venerdì, settembre 13, 2013

Facciamo che io ero chi le scrive e tu eri le mie parole più belle.

Una dopo l'altra,
così immobili
e ferme
tra immaginazione e volontà,
possono,
alle volte,
le parole
giocare come i bambini
a fingere le cose.
Hanno il potere,
muto,
di poter essere,
ancora,
senza saperlo,
ciò che desiderano.
Si fermano un attimo,
soltanto,
di tanto in tanto,
per usare un imperfetto
scorretto
sul presente
e sul futuro.
Diventano,
non se smettono,
ma quando giocano,
ad esser grandi.



giovedì, agosto 15, 2013

Le cose che sai.

A quest'ora mi sveglio. È più di un anno che accade. Mi sveglio come una preda, nella tana, quando arriva la luce, controlla d'essere ancora al riparo. 

A quest'ora mi sveglio. Mi sveglio e mi rannicchio da qualche parte come se dovessi prendere la forma di un guscio.
A quest'ora mi sveglio. Riconosco cosa è familiare e cosa no. Mi sveglio e ho addosso gli animi della notte, con i loro affanni e desideri.
A quest'ora mi sveglio e cerco qualcuno, qualcosa, da cui fuggire, scappare pur di sentirmi al sicuro. 

E sarà sempre così, finché non deciderò di mettermi al sicuro dalla paura di non esserlo.

giovedì, febbraio 21, 2013

dai nostri semi più timidi
fioriranno fiori in pancia dopo le farfalle.




[di quelle cose che scrivi al volo di nascosto quando sei felice. mentre lui ti guarda alla finestra, in una mattina di neve come questa. non troppo tempo fa.]

martedì, marzo 27, 2012

Il verso della tortora dal collare orientale


E un giorno in preda al timore che qualcosa andasse storto decisi che era un brutto segno. Sentendolo, lì tra gli alberi, decisi che quello era chiaramente un brutto segno.
Lo decisi per ignoranza, lo scambiai per il verso del cuculo, che dalle mie parti si dice porti sfortuna.
Da allora ogni singola volta ho atteso il peggio.
Solo dopo molti anni, in toscana al mattino presto, sentendolo, mi sono per la prima volta chiesta se quel giorno lo sia stato davvero, un brutto segno.
Non era un brutto segno... era un'allerta, un guarda bene a ciò che accade.
Perché quel giorno lì, tanti anni fa, accadeva qualcosa che ha cambiato il corso della mia vita ed io di proposito, pur accorgendomi che qualcosa non funzionava, ho voluto ignorare tutti i chiari segnali per la fretta d'aver tutto e subito.
Quel giorno avrei dovuto accorgermi che c'era in me il seme di un pensiero che andava coltivato, a cui stare attenta, senza far finta di nulla pur di ottenere ciò che volevo.
Ancora adesso, al mattino, quando capita di sentirlo, faccio fatica a tenere a mente che non accadrà il peggio.
I miei segni sono già in me e sono io a dargli senso.
Non è il suo verso... basta che io mi ascolti, senza far finta di nulla.

martedì, dicembre 14, 2010

h. 6:16 Post-it

Mangio un biscotto. QUINTALI di odiose briciole.
Se la natura fosse così clemente e inventiva da creare un microscopico esserino, trasparente, mangia briciole, io credo che il mondo funzionerebbe meglio. E ci sarebbero molte meno casalinghe. e calendari trash.

giovedì, agosto 05, 2010

E poi devi risalire, sempre a cucchiaiate.

Era come avere in mano un cucchiaio, che poca differenza faceva se era quello tradizionale di famiglia, passato di mano in mano, un cucchiaio d'argento ricevuto in eredità da una nonna ricca, o un regalo frutto di anni di sacrifici. Era sempre un cucchiaio.
E s'andava in giro tenendolo in mano, chiedendosi cosa mai c'era da farsene di un cucchiaio. Lo mettevi accanto al letto, sul comodino, prima di dormire, accanto al piatto, a pranzo, a volte quando ti servivano entrambe le mani, lo incastravi tra i capelli dietro l'orecchio, come i manovali con le sigarette. Non c'era niente da farsene di un cucchiaio.
Poi col tempo ci si abituava a far tutto, con un cucchiaio. Si raccoglievano cucchiaiate di sogni, di progetti, di tempo. E sì, faceva un po' differenza se il cucchiaio era quello d'argento che non si piegava mai, o quello passato di mano in mano, rinforzato con del fil di ferro.
Si facevano dei mucchietti e dovevi essere abbastanza bravo a non dare troppe cucchiaiate di sabbia, e aggiungere la giusta quantità d'argilla e di calcare.

Da allora si tiene sempre un cucchiaio in mano.

Anche perché ad un certo punto, arriva puntualmente il momento in cui ti accorgi che se c'è troppa sabbia, banalmente, frani. E arrivato a valle, pur continuando a chiederti cosa mai dovrai fartene di un cucchiaio, ti tocca guardare cosa hai costruito, o quello che ne rimane.

sabato, marzo 13, 2010

C'era una finestra da cui gli uomini del mio passato mi vedevano nuda.
C'erano pantaloni pieni di minestroni scongelati.
C'era qualcuno che sparava e qualcuno che mi puntava una pistola alla testa.
C'ero io ma non c'ero.
C'era un cane morto, che si chiamava come il mio cane morto.
C'era qualcuno che piangeva disperatamente per aver perso qualcuno.
C'era da consolare qualcuno che era inconsolabile.
C'era da fargli una carezza forte e farlo poggiare sul petto per piangere.
C'era da salire su un treno.
C'era da viaggiare.
C'era da scendere.
C'era da lavarsi per via del minestrone.
C'era una vecchia amica.
Qualcuno aspettava davanti alla porta di un bagno.
Poi non era un bagno davanti alla cui porta c'era da attendere, e io ho aperto la porta.
C'era chi sentiva il bisogno d'essere ringraziato.
Non era giusto farlo, ma sentivo comunque il bisogno di ringraziare.
Alla fine non ho ringraziato.
C'era un bagno allagato d'acqua blu e disinfettante.
C'era un bagno che era una sala parto, di origami.
C'era un omino di carta diventato papà che mi salutava meccanicamente con il braccio di carta, verde.
Mi lavavo il viso.
Facevo fatica a far rientrare sempre tutto nella borsa.
Avevo paura di dimenticare qualcosa.
C'era un treno in ritardo.
C'era la foto di una spiaggia piena di conchiglie con una scritta "auguri" di cioccolato bianco.
C'era qualcuno che mi chiedeva di commuovermi sulla foto, per farmi una foto.
Non volevo ma poi di nascosto mi commuovevo, e speravo se ne accorgesse.
Alla fine si è commossa pure lei, rileggendo un vecchio diario.
C'era una corsa lungo un corridoio.
C'era qualcuno che mi veniva incontro ma era in mezzo alle persone sbagliate.
C'era qualcuno da cui mi nascondevo.
Qualcuno viaggiava in camper e gli era appena morto il cane.
C'ero io che mi rivestivo mentre avvertivo che il treno in ritardo era finalmente arrivato.
C'era il mio passato e il mio futuro che correvano lungo i binari per prendere il treno.
C'era il dubbio che il treno in realtà non fosse ancora arrivato.
Non c'era nessuna finestra da cui controllare se fosse arrivato e poi c'era.
Era arrivato ma io avevo ancora troppe cose da raccogliere per non dimenticarle.
Avevo l'ansia e niente entrava nella valigia.
Il treno stava partendo e a me veniva da piangere per la fretta.
Stavo per decidere di lasciar perdere, di non prenderlo, di aspettare il prossimo che è pure meglio, così ho più tempo per me...
ma...
alla fine, mi sono svegliata. e dopo tanti anni, mi sono seduta a scrivere la mattina presto.
...che è un po' come prendere un treno nel freddo dell'alba.