io me lo ricordo il momento in cui mia mamma prendeva tutti i resti delle mie uova di pasqua e li rinchiudeva in un barattolo. "per farci le torte" diceva, e poi restavano lì per mesi mentre io li guardavo in alto sulla mensola stretti stretti dentro il vetro. che mi sembrava un tortura, non tanto per me, quanto per i pezzetti più piccoli, schiacciati al fondo.
venerdì, aprile 13, 2012
i pezzi più piccoli
martedì, gennaio 24, 2012
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Il punto è che oggi m'è tornata in mente Francesca Fiocco.
Avevo cinque anni e Francesca Fiocco era la mia amica del cuore. Mi sarei tagliata un braccio, una mano, una gamba, qualunque cosa per lei.
Noi, eravamo le Amiche, con la A maiuscola.
Un pomeriggio d'estate per consacrare la nostra amicizia decidemmo persino di unirci in un patto di sangue. Al momento di tagliare, guardandoci negli occhi, all'unisono ci fu chiaro che uno sputo era più che sufficiente, e via con la stretta di mano.
Noi ci capivamo.
Francesca Fiocco mi ha insegnato a ballare e vola con quanto fiato hai in gola su Ti amo di Umberto Tozzi. Era la nostra performance migliore. Il risultato era qualcosa di sorprendente, garantisco, perché al momento del "apri la porta a un guerriero di carta igienica" c'era la piroetta con movimento di polso affarfalla, che lasciava tutti senza parole. Dopo vent'anni vi assicuro che Mourinho e Mara Maionchi restano dei pivelli al confronto.
Lei era la sorella che avrei sempre voluto. Dividevamo le merende, i compiti, il banco, i fermagli, i vestiti, tutto, eccetto i gusti in fatto d'abiti di carnevale.
Francesca Fiocco sapeva come arrampicarsi in alto per prendere di nascosto il contenitore dei biscotti. Francesca Fiocco non aveva segreti per me ed io per lei.
Eravamo una cosa sola.
E dunque oggi, dopo ventiquattro anni, sull'onda dei ricordi mi sono messa in testa di cercarla.
Ho aperto Google, ho digitato Francesca Fiocco nel campo di ricerca, ho scorso le prime tre pagine di risultati senza trovare nulla e a quel punto, sconfortata, mi è stato chiaro che è un'impresa impossibile.
Allo stato attuale dei fatti non ho idea di che fine abbia fatto Francesca Fiocco, forse non la troverò mai, forse non esiste o forse è stata per sempre fagocitata dentro quell'enorme vestito da Gabibbo rosso che era veramente, ma veramente, di pessimo gusto.
Nota dell'autrice
C'erano delle velleità sociologiche alla base di questo post, ma mi rendo conto da sola che il guerriero di carta igienica è ben più immaginifico di qualsiasi cosa io possa scrivere per stimolare i vostri pensieri. E me ne son fatta una ragione sin da subito.
Andate in pace.
martedì, giugno 28, 2011
Le violette, il pentolino e la pin-up
C'era odore di freddo, quell'odore netto, terso, dell'aria del mattino quando ancora non è stata respirata, dalla città. Un odore pulito di dentifricio e lacca e sapone, che girato un corridoio ti spiazzava vagamente e faticavi a distinguere la lavanda dalla naftalina nei maglioni distesi sul letto, per essere indossati. In cucina, era di nebbia e caffè, di ciclamini. Varcata la porta e giù per le scale verso il portone ti investiva profumato di cappuccino, caffè corretto, inchiostro di stampa caldo e focaccia.
Io, bambina, ero lì sotto le coperte, in vacanza dalla nonna. Aprivo gli occhi e tra le assi della tapparella filtrava quella luce del giorno che ha appena smesso d'essere soffusa. A volte sentivo il respiro calmo di mia madre, a volte le sentivo chiacchierare in cucina, oltre la porta.
C'era sempre un istante di smarrimento in cui mi chiedevo dove fossi, ma gli oggetti, i mobili e la stanza tutta, erano ad aspettarmi, per non spaventarmi, dove li avevo lasciati prima di dormire. Il quadro della pin-up era il primo di cui controllavo gli spostamenti. Sopra la mia testa, sorridente e ammiccante la pin-up se ne stava seduta ad aspettare il mio risveglio. M'inquietava. La guardavo per capire se nella notte avesse mosso un passo, ma lei, sempre sorniona, restava ferma sul suo sgabello a vigilare premurosa sul mio sonno. La odiavo la notte e amavo trovarla lì immobile al mio risveglio.
Con me si svegliava la mia euforia. Controllata la pin-up, iniziavo a concentrarmi su cosa d'entusiasmante m'aspettava per il giorno. Sceglievo, tra tutte, l'avventura più elettrizzante ed ero così pronta a sfidare il freddo uscendo di corsa da sotto coperte. Attraversavo l'odore del mattino ed iniziava la mia giornata.
Accade da sempre.
Ogni mattina, appena sveglia, mi do un anticipo delle mie avventure per il giorno, cerco la più entusiasmante e forte di quella mi alzo dal letto.
Nei giorni in cui mi sembra che nulla di straordinario, nuovo, insolito, salvifico o desiderato m'attende, io so di dover fare uno sforzo, di dover concentrare le forze, affinché ricordi che la mia più emozionante avventura sono io.
C'è anche un profumo delicato di violette ed un pentolino piccolo e molto vecchio, in questo ricordo.
martedì, maggio 24, 2011
Inchiostri
Sono svaniti i primi mesi del duemilaedieci dal mio taccuino, scrivevo a matita e inchiostro ad acqua a quanto pare, in quel periodo. Sulle pagine non sono rimaste che scie di grafite e pigmenti blu. Quando ho tentato di separare i fogli, me ne sono accorta dopo, i primi che ho cercato di salvare sono stati quelli degli ultimi mesi. Da aprile a dicembre del duemilaedieci non ho scritto una parola, ho usato una penna dall'inchiostro nero e molto denso quando ho ricominciato, per cui la distinzione tra ciò che è salvo e non lo è, è netta.
C'è una tendenza al conforto fatalista in me per cui, quando stasera ho visto come le prime si erano ridotte, ho pensato fosse un segno. Un pretesto per cambiare e allontanarmi dal passato che da solo si è cancellato con la pioggia. I segni io ormai credo, così come le coincidenze, sono splendide sciocchezze.
Ciò che è stato non posso lavarlo via né riscriverlo così che non mi faccia male. Se scrivevo a matita però è perché il tratto scuro della penna mi avrebbe contrariamente dato quel senso di certezza che mancava a tutto il resto. La grafite la cancelli, l'inchiostro più denso invece rimane e resiste anche alla pioggia, a quanto pare.
Così oggi mentre passeggiavo riflettendo sugli ultimi anni, su come cambiare subito i miei ritmi e le mie giornate (da domani/oggi, perché ormai è chiaro che ho un'idiosincrasia per gli Inizi il lunedì), in realtà sotto la pioggia perdevo un pezzo di ricordi e pretesti per rimuginare sul passato.
Mi sento sollevata.
Io non ho bisogno di cancellare ciò che è stato. Io ho bisogno di scrivere pagine nuove e di salvare e preservare quello che negli ultimi tempi con fatica ho difeso e costruito... anche se bagnato fradicio, con pazienza io l'asciugo.
martedì, novembre 23, 2010
Sei anni fa Quattro giorni fa Due ore fa e una coincidenza.
19 novembre 2004
Ma i treni dove dormono?
Gli odori delle persone ti restano in bocca. E' una sensazione che fa schifo.
E le panchine sono fredde.
Binario 2 h. 23.02
giovedì, ottobre 28, 2010
Ero piccola. sono rimasta piccola.
La sensazione di quando qualcuno stendeva una coperta sul prato e mentre era ancora gonfia, mi ci catapultavo sopra.
domenica, novembre 29, 2009
Credere nella magia e farsi angeli
E in quel momento, lentamente, appoggiandosi ad una mano, si è seduto.
E' rimasto fermo a veder scorrere l'acqua di quel rivolo per ore, al riparo nel canneto.
In lontananza qualcuno chiamava a gran voce, di tornare indietro.
Inviolabile figura, la sua sagoma, che minuta, dopo essersi alzata, restava lì immobile, accovacciata nella salopette, a guardare l'acqua. E non erano i boccoli biondi o gli occhi azzurri, non erano nemmeno le sue piccole mani. Era quel desiderio che aveva negli occhi di toccarla. Gelida come sempre e trasparente.
venerdì, ottobre 30, 2009
Aveva un odore semplice, allora.
E giravo e rigiravo tra le mani le foglie tonde di pitosforo.
Le strappavo e le ripiegavo fino a spezzarle, mentre parlavo.
O raccoglievo gli aghi di pino secchi e riflettevo, attorcigliandoli.
Sovrappensiero iniziavo a mordermi le labbra e tu mi guardavi affascinata, come se fossi una creatura misteriosa venuta da lontano. Dopo, di nascosto, provavi anche tu allo specchio.
I pantaloncini di jeans corti, le magliette annodate in vita, le scarpe con la zeppa alte, l'odore di cloro e sale sui capelli e sulla pelle.
Lui mi ha guardata? Sì stasera assolutamente glielo chiedo. Ma si vede che gli piaci. Ci vediamo alle tre qui? Mi aspetti? Dai, non piangere. Ma sì che ti vuole. No no aspetta che sia lui. Diglielo tu.
Appoggiavo la schiena al muretto, facevo forza sui polsi, mi sollevavo e mi sedevo. Il caldo del primo pomeriggio e il rumore di cicale tra gli alberi mentre ti ascoltavo e mi raccontavi del tuo modo sofferto e bello di vivere l'amore. E mi consolavi, mentre piangevo per la mia prima delusione, d'amore.
Avremmo potuto parlare così per giorni e giorni e avresti poi continuato a guardarmi in quel modo per anni.
Ma se ci riuscivo, se riuscivo a piegarli su se stessi senza spezzarli, gli aghi di pino, assomigliavano a due metà di un cuore.
Ed era quello il primo amore.
Con problemi semplici, un dolore insopportabile e tu a consolarmi, come mai nessuno avrebbe più fatto. o come mai avrei desiderato credere da allora in poi.