E ho attraversato la città una volta e più in silenzio. Una via dritta come una vena stesa e tesa verso una direzione esatta e sempre quella. Ho cambiato strada, ho fatto curve e scavalcato ponti, ho cercato vie strette e luminose, ho percorso veloce arterie lunghe e buie.
Forse una città la si dovrebbe lasciare quando i ricordi iniziano ad accavallarsi, quando una strada, quella strada, ti accorgi di averla percorsa talmente tante volte che non è più lei ma sei tu, con i tuoi passi esatti e l'abitudine per i dettagli, sempre gli stessi.
O forse e ragionevolmente, la mappa di una città si sovrappone alle mappe che crei dentro di te. Mappe in cui si compongono disordinate le tue comparse nella realtà. E quanto più sei bravo a reinventarti, a trasformarti e ad adattarti, anche al caso talvolta, tanto più qualsiasi posto faccia da proscenio a ciò che sei, sarà infinito e teso verso lo spettacolo più appassionante che tu possa mettere in scena.
3 commenti:
E' anche piacevole (a volte, raramente, mai) muoversi nelle strade scorgendo fili tessuti da altri, facendo collassare il presente ed i ricordi, ritrovarli nei gesti e nei particolari dietro l'angolo sbrecciato, raggomitolati in uno scorcio dimenticato, o piegati pronti a scattare nella curva di un meccanismo. Un dialogo muto, la trama di un arazzo urbano.
Jfnhr :) lo credo anch'io... è intrecciato tra quelli, del resto, il proprio filo d'Arianna.
la foto è strepitosa
e i pensieri mi rispecchiano profondamente
un saluto da NYC
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