mercoledì, gennaio 20, 2010

Era un uovo, un uovo bianco, di carta, grande come me, come il mio viso, l'ho tagliato a metà. E ora è qui tra le mie mani. Ho una matita, ho del cerone e delle forbici, siedo per terra a gambe incrociate su fogli di giornale. E una delle mie gambe, incrociate, poggia su un libro, parla di geishe e del giappone.
La porto al viso, la metà, ma manca l'aria. Vi farò tre buchi, un occhio, il naso e la bocca.
Quel libro racconta di un trucco, sul collo di una donna.
Vi ho fatto i buchi. Sono piccoli, devo trovare il modo di allargarli.
Li allargo con le forbici, ho provato a leccarmi un dito per strofinarlo sui contorni, non si sono ammorbiditi. Devo addolcirli, farò piano con le forbici, per arrotondarli.
La porto al viso, la metà e i tre buchi, ma ho lo sguardo spezzato. Mi farò più tardi l'altro occhio.
E' pronta.
Mi alzo, un foglio di giornale si è attaccato ai pantaloni di cotone, le forbici erano in grembo e cadono.
Ho dimenticato di mettere la matita tra i capelli per tirarli su, prendo la matita senza sedermi.
Adesso sono in piedi, in una mano e nell'altra due metà, una con tre buchi, l'altra senza capelli.
E' un uovo, è di nuovo un uovo. Le unisco. Un uovo grande come me, come il mio viso.
Lo guardo.
E sembro Amleto, ma è solo che sono indecisa se mettere il cerone sul suo o sul mio viso.





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