Conosco la forma delle mie abitudini, della mano che si chiude in un pugno quando mi appoggio per guardare, o della gamba che si accavalla leggera sull'altra per non sentire i tendini tesi alla caviglia.
Conosco la forma dei miei gesti, al mattino, appena sveglia, quando scendo dal letto in punta di piedi perché il pavimento è troppo freddo, in ufficio, quando avvolgo i capelli alla penna per tenerli su, o per strada se cammino veloce e sposto indietro la spalla per non sfiorare la gente.
Ho un catalogo completo delle mie smorfie allo specchio o in fotografia. Ho una traccia delle mie emozioni che appare ogni tanto all'angolo degli occhi, appena sorrido.
Conosco gli incastri esatti delle mie forme. Conosco il punto esatto in cui il mio piede si nasconde sotto le gambe incrociate e la curva stretta del mio ginocchio piegato. Ho in me le impronte delle mie pose più scomposte, immobili e segrete.
Da qualche parte dev'esserci persino un calco dei miei gesti passati, della mia mano piccola stretta in quella di mio padre, della prima volta che ho chiuso gli occhi piano lasciandomi accarezzare lentamente, della morsa stretta dei denti per la rabbia o l'emozione.
Conosco le abitudini del mio corpo di notte, quando non controllo i sensi, i muscoli si sciolgono e il letto mi sorregge. Conosco la forma dei miei respiri e la curva dei miei fianchi se qualcuno mi sfiora.
Ho in me un calco lento e delicato che disegna la forma dei miei gesti più semplici. E se dovessi cambiarne gli incastri, le misure o perderne ogni traccia, so già che non saprei più chi sono e che forma hanno i miei pensieri.
martedì, giugno 04, 2019
La geometria dei sensi
domenica, dicembre 23, 2018
Ciò che ricordo. [Agli uomini che mi hanno amata]
L'ultimo morso di un panino, il movimento della spugna sui piatti, le carezze di una rosa sulla mia schiena, l'impugnatura stretta del manubrio di una bicicletta, le dita volgari che si allargano ai lati della bocca fumando una sigaretta, una mosca stretta in pugno mentre vola, il plettro tra i denti, la giacca sulle spalle una notte d'estate, lo schermo del telefono capovolto, la morse strette tra le lenzuola.
È in me una collezione di ricordi, di gesti attenti, insopportabili, distratti. La attraverso tutte le volte in cui mi chiedo come dev'essere chi desidero avere accanto.
Forse ho da chiedere scusa, perché ogni angolo di me, per me, è ancora vergine.
mercoledì, ottobre 10, 2018
Le cose che so di me.
Ho cercato di farla allenare alla corda, e sfiancarla. L'ho lasciata chiudersi in una stanza, per non incontrare nessuno. L'ho tenuta sveglia a notte fonda, con le luci forti, spente, o la musica accesa. L'ho spinta in avanti mentre puntava i piedi, nervosissima. Le ho chiesto di pazientare, di non scappare. Ho chiuso a chiave i suoi conforti peggiori, per obbligarla ad essere migliore. L'ho lasciata sprofondare, in luoghi profondissimi, insopportabili. Ho atteso le venisse voglia di tornare, di dimenticare. L'ho costretta a dormire accanto alle sue paure peggiori. Le ho permesso d'essere scontrosa, irritante, sfacciata. Non l'ho fermata se pretendeva, se scioccamente s'impuntava, se non taceva. L'ho umiliata, s'è fatta umiliare. Le ho disegnato confini e non li abbiamo rispettati. Non l'ho perdonata, l'ho confortata per non essere riuscita a perdonarla. Mi ha scavalcata, mal sopportata. L'ho scavalcata, mal sopportata. L'ho tradita, dio quanto vorrei non averla tradita. L'ho trascinata, agitata, insicura, snervata, dove dell'altro l'avrebbe sfinita.
Non sa più credere, nemmeno in me, la mia fiducia.
Nemmeno adesso.
martedì, giugno 19, 2018
Le cose sceme.
La verità è che io mi entusiasmo per poco, esattamente come accade ai bambini. La verità è che mi entusiasmo per le cose che a volte non nota nessuno, per le cose sceme, per dei minuscoli cuccioli di lumaca, ad esempio.
La verità è che non c'è nessun'aura magica intorno a me, né un particolare fascino, né nutro una particolare voglia di stupire. L'entusiasmo che sento spesso è così sfrontato che me ne vergogno.
Un entusiasmo così, se lo porti in giro, te lo fanno a pezzi in due secondi. Un entusiasmo così corre a nascondersi in tasca se sei davanti a qualcuno che è cinico e disilluso.
La verità è che un entusiasmo così, per non perderlo, devi saperne fare un segreto e farlo venir fuori quando c'è umido e un po' di sole, e ti senti al sicuro.
martedì, marzo 08, 2016
Donne
E poi da qualche parte c'erano le donne. Le donne, sì. Ed erano nude. Nude. E non serviva scriverle in corsivo o in grassetto, perché bastava solo dirlo, quasi sussurrarlo donne. Ti veniva voglia di scandirlo bene, di metterci un trattino tra una lettera e un'altra col dubbio che qualcuno non capisse. Ma non serviva, donne.
Ed erano nude. Succinte e belle. Così belle che gli uomini potevano svenire. C'erano gli uomini.
C'erano gli uomini ed erano nudi. Anche uomini ti veniva voglia di scriverlo in grassetto, ma non serviva, uomini.
Oh, c'erano donne dappertutto, al cinema, al supermercato, in banca, da un lato del bancone e anche dall'altro, sedute in basso e sedute in alto, inginocchiate e sui gradini, erano ovunque. Donne.
Ti veniva la paura che in mezzo a così tante, una per una non si riuscisse più a distinguerle, le donne. E ancor di più si sospettava che non riuscissero più a distinguersi tra loro. Erano tutte belle. E poi tutte brutte. E poi tutte stanche. Tutte magre, grasse, sazie, zitte, ferme, attente.
Ti veniva voglia di toccarle, di ascoltarle, di guardarle, ti facevano confondere ed erano confuse. Erano una metà e poi un intero e poi tutte quante e una sola. Volevi chiederglielo, se lo sapevano cosa significa essere donne.
Ce n'erano così tante che pur di non confonderti, e confonderli, e confondersi si vestivano continuamente. Le distinguevi bene, oh sì, non era mica difficile trovarne una e poi un'altra e un'altra ancora.
Non si capiva nemmeno bene come facessero a vestirsi di continuo senza spogliarsi. Ti sorprendevano, le donne. E pure gli uomini, che guardavano curiosi e poi impauriti e poi eccitati e poi insicuri, e poi distratti, presenti, assenti, attenti.
Era un brulicare in ogni dove.
C'erano le donne, ed erano nude. E non serviva scriverle in corsivo o in grassetto, perché bastava solo dirlo, quasi sussurrarlo donne. E gli uomini svenivano, con le donne. Anche con quelle belle.
Che se si fossero svestite davvero era lo stesso.
Erano nude, senza parole.
lunedì, dicembre 21, 2015
Alla tavernetta, il bancone
Io non sono brava a stare sull'orlo, gli orli sono fatti per stare o di qua o di là e questa regola mi piace.
"C'è una lei in me che non sa rinunciare a niente.
Una lei che non vuole mai andare a letto, perché è presto e poi crolla.
C'è una lei in me che ha sempre freddo quando mangia.
Una lei che non sa fare sacrifici.
C'è una lei che ha paura di un respiro troppo vicino al suo, ma non lo confessa per timore d'essere fraintesa.
Una lei che non mangia se non vuole, che beve ai colli di bottiglia.
C'è una lei in me che aspetta le si tenda una mano, prima d'attraversare.
Una lei che quando è arrabbiata, triste o spaventata caccia via tutti con furore e si nasconde.
C'è una lei che si aspetta sempre lealtà e sicurezza.
Una lei che fantastica sui sogni senza guardare dove mette i piedi.
C'è una lei che cammina ancora scalza, che non vuole essere stretta troppo forte, che scappa e non risponde se qualcuno la rimprovera.
Una lei che per rancore, tensione, terrore o terribile sconforto, piange.
C'è una lei in me che se la insulti non ti guarda più negli occhi.
C'è una lei che se la deludi ti fissa dritto e ti disprezza.
Una lei che non ti ascolta se si annoia, che ride poi però ritorna seria.
C'è una lei spaventata da ogni cambiamento.
Una lei in me che vorrebbe correre a pregare quando accade qualcosa di orrendo ed inspiegabile.
C'è una lei che cammina svelta e poi si ferma all'improvviso senza motivo apparente.
Una lei che se ha bisogno d'aiuto non lo chiede.
Una lei che spinge lontano tutto se ha rotto qualcosa.
Una lei che nei sogni non riesce a fare male quando si difende da chi la minaccia o la ferisce.
Che parla sola e con le cose.
Che non risponde se la chiami.
Che non vede l'ora d'essere all'altezza.
Che si rimbocca le maniche e quando cadono le bagna.
Che se ha paura non ragiona e urla o resta in silenzio per ore.
Che non si fida.
Io, alla mia età, non riesco ancora a farmi ascoltare e ad insegnarle a crescere.
Ma trattengo il respiro, per non infastidirla.
La lascio nascondersi, perché prima o dopo fa capolino se non c'è nessuno che la guarda.
Guardo io per lei dove cammina, quando sogna.
La rimprovero aspramente e la faccio piangere di continuo.
Tento di farle vedere il lato buono di ogni cosa, di ogni cambiamento.
Le conservo i pezzi rotti, perché so che poi li cerca per capire come aggiustarli.
La dico che un giorno questi suoi incubi finiranno.
Le chiedo di contare fino a dieci.
Io so che non vorrebbe mai ascoltarmi, ma non c'è nessun altro che può prenderle la mano quando attraversa la strada."
27 Giugno 2011
mercoledì, novembre 25, 2015
Preghiera di una donna stanca di essere donna
La Vostra fortuna è d'esser uomo.
La Vostra fortuna è la Vostra dannazione e la mia, o Signore.
Vi chiedo di non avermi più in grazia, perché questo corpo così grazioso e avvenente, è già alla mercé di ogni passante.
Dove io non potrò difendermi da quello sguardo colmo di desiderio e vuoto di intenti delicati, abbandonatemi anche Voi, se potete.
Io non so, o Signore, se qualcuno vi ha mai rivolto l'umile invito a riflettere sullo sguardo, proteso e un po' sfacciato, di un uomo tale a Voi, al cospetto di una donna.
È uno sguardo senza casto ardore, è uno sguardo prepotente.
Dio creò l’uomo a sua immagine,
a immagine di Dio (κατ΄εικόνα θεού) lo creò,
maschio e femmina li creò. (Gn 1,27)
Creaste a Vostra immagine, uomini incapaci d'aver rispetto, tra ciglia e lacrime, per una donna.
È uno sguardo che si appropria, il Vostro, e senza chiedere permesso.
È guasto, è uno sguardo che assale e lascia senza minima difesa.
Non c'è vergogna né onore, ed è violenza, pura e misera, come miseri sono i pensieri che l'accompagnano in silenzio.
Il Vostro sguardo, d'uomo, è l'artifizio più meschino per tenermi a testa china e spalle basse.
Per questo, o Signore, io Vi prego, di non guardarmi da lassù, così che almeno io, da terra, possa levare gli occhi al cielo e senza vergogna, fissarvi finché anche voi vi sentirete spoglio ed umiliato.
E capirete.
giovedì, settembre 03, 2015
Re-edit: Le frittelle di paperino
[Scritto il 28 Settembre 2008, come stasera, dopo i pancake]
Accade sempre di notte...
come una febbre alta, o la sete, o quando sogni di cadere e ti svegli di soprassalto. Di notte ho un soprassalto di scrittura.
Quando ero bambina pensavo che da Grande avrei prima o poi smesso di giocare a sfidare il destino contando le cose o prevedendo imminenti catastrofi...
"Se guardo l'orologio e sono due numeri uguali allora oggi mi interroga"...
Le 11.11.
"Se le mattonelle sono pari piaccio al tipo"...
Mattonelle dispari.
"Se vedo 7 stelle cadenti sarò felice per sempre"...
9 stelle cadenti (mai più riviste così tante tutte in una notte)
"Se il biscotto si rompe a metà oggi sarà una buona giornata"...
Biscotto solo sbriciolato ma pronto rapido intervento di incisivi per affinare la metà... ("mattinata mezza mezza, ma recuperabile nel pomeriggio").
Così, oggi, da Grande, al contrario di ciò che prevedevo per il mio brillante futuro, di tanto in tanto e con altrettanto ardore e affinato senso per le catastrofi...
"Se adesso mi cade un bicchiere perdo qualcuno"...
Uno dei bicchieri da vino, regalo della mamma per Natale, si sfracella letteralmente nel lavandino...
[addio signora Minù]
"Se conto queste bustine e sono 17 non ne venderò nemmeno una"...
Le bustine sono 16 ("che culo"). ("Ora metto via e vado a letto")... alzo un foglio, la diciasettesima!
Passo metà del mio tempo da soprappensiero a giocare all'indovina.
Ecco, una postilla necessaria, che sia chiaro, non che io sia davvero sfortunata o che le mie sventure si verifichino poi sul serio, ma in qualche modo ho una spiccata propensione a sfidare la sorte senza motivo.
Del resto le mie avvenenti previsioni per il "daGrande" (perché era un'entità superiore a sè stante degna della mia miglior stima e fiducia) più e più volte si sono dimostrate dei flop micidiali.
"daGrande smetterò di stare seduta come un maschiaccio"...
"daGrande smetterò di non riuscire a trattenere le lacrime quando salgono in gola"...
"daGrande smetterò di mangiare tutte queste Schifezze (entità ontologicamente fondata da mia madre ben 20-25 anni orsono)"...
Da grande...
sono sempre ale
...ho imparato ad accavallare le gambe con disinvoltura, ma continuo a non star seduta composta a tavola, alla mia scrivania, sul divano...
Da Ale...
vorrei essere come una pietra del san michele,
...così fredda
così dura
così prosciugata
così refrattaria
così totalmente
disanimata ...
o come la Golden Rock e riuscire a trattenere in bilico le emozioni, controllando i miei umori con spiccata fermezza senza sentir dentro a volte tutto questo essere.
Da grande...
mentre affino esotici piatti giapponesi...
non riesco a smettere di soffrire della sindrome da Frittelle di Paperino.
Suddetta sindrome prevede improvvise voglie culinarie che inducono il malato a ricercare con foga e impazienza i sapori infantili più emozionanti e familiari, la malattia induce ad assecondare tali voglie a qualsiasi costo e sacrificio: piatti appena lavati, corsa al supermercato sotto la pioggia, sveglia anticipata, amici e parenti ospiti in casa, intossicazione alimentare ecc...ecc...
Ed ora io dico...
e poi taccio...
bene che prima o poi smetterò di mangiare Schifezze e finalmente diventerò Grande...
ma chi, a qualunque età, non si sentirebbe confortato e felice trovandosi davanti le fatidiche fumanti frittelle di paperino in un bagno di sciroppo d'acero?
Pancakes... perché "daGrandi " le chiamano così.
domenica, agosto 30, 2015
Ad occhi chiusi
The Cinematic Orchestra, Arrival of The Birds & Transformation
E l'aria come una scia dalla guancia alla linea del collo, lungo le piume sottili e piccole nell'incavo dove s'attacca l'ala più forte. Scivola, tra le penne lunghe delle ali tese, vibrano appena, una due tre, sino alla coda e va via.
Un oltre mare e onde e terra e monti e montagne e neve, case e bruma e le cime dei pini.
E sollevarsi su nuvole grigie in alto, in basso, con la pancia, che si fa umida appena, alta, nel vapore bianco fino ad uscirne veloce, a testa in su, per respirare forte.
Una spinta in alto, più su, giù, su, su, nuvole appena.
E una goccia di brina che scorre dal naso al becco, all'occhio tondo e socchiuso, oltre la testa, nel cielo.
E sentire l'aria tremare poco sui fianchi, le traiettorie, intorno, accanto, e correre senza aver fretta di planare lieve. Planare piano e lasciarsi trasportare dalle correnti del vento deciso del nord.
In alto, su, più su, su e ancora su. Fino a tremare dall'emozione.
Sospeso, in cielo, tra gli aquiloni.
E voltare al sole, e guardarlo appena, e aprire un'ala per fingere di volargli attorno. Misurarsi con l'orizzonte e aspettare che la pioggia si posi leggera.
Arcobaleni.
Entrarci dentro per colorarsi alla luce più trasparente del sole. Di rosa, arancione, e poi blu, indaco e viola. E tornare per mescolarsi al verde, di blu e rosa ancora. Lievi.
Nuvole blu e cobalti pieni. E tramonti caldi e spuma bianca e il brillio dei pesci a pelo d'acqua, toccarla appena.
Non fermarsi mai.
E ripartire ad ali stese tra nembi spumosi.
Saper atterrare, è un volo perfetto.
mercoledì, dicembre 17, 2014
La geometria dei sensi
Conosco la forma delle mie abitudini, della mano che si chiude in un pugno quando mi appoggio sul mento per guardare, o della gamba che si accavalla leggera sull'altra per non sentire i tendini tesi alla caviglia.
Conosco la forma dei miei gesti, al mattino, appena sveglia, quando scendo dal letto in punta di piedi perché il pavimento è troppo freddo, in ufficio, quando avvolgo i capelli alla penna per tenerli su, o per strada se cammino veloce e sposto indietro la spalla per non sfiorare la gente.
Ho un catalogo completo delle mie smorfie allo specchio o in fotografia. Ho una traccia delle mie emozioni che appare ogni tanto all'angolo degli occhi, appena sorrido.
Conosco gli incastri esatti delle mie forme. Conosco il punto esatto in cui il mio piede si nasconde sotto le gambe incrociate e la curva stretta del mio ginocchio piegato. Ho in me le impronte delle mie pose più scomposte, immobili e segrete.
Da qualche parte dev'esserci persino un calco dei miei gesti passati, della mia mano piccola stretta in quella di mio padre, della prima volta che ho chiuso gli occhi piano lasciandomi accarezzare lentamente, della morsa stretta dei denti per la rabbia o l'emozione.
Conosco le abitudini del mio corpo di notte, quando non controllo i sensi, i muscoli si sciolgono e il letto mi sostiene. Conosco la forma dei miei respiri e la curva vertiginosa dei miei fianchi quando qualcuno li sfiora.
Ho in me un calco lento e delicato che disegna la forma dei miei gesti più semplici. E se dovessi cambiarne gli incastri, le misure o perderne ogni traccia, so già che non saprei più chi sono e che forma hanno i miei pensieri.
martedì, ottobre 14, 2014
L'avvento
Sartori nel 2000 scrisse un saggio acclamando il passaggio epocale da Homo Sapiens a Homo Videns. Una prospettiva interessante, ricca di spunti e ampiamente condivisibile che suggeriva una progressiva e sempre maggiore predominanza dell'immagine nella quotidianità dell'uomo contemporaneo, tutta a discapito della parola.
Una gerarchia dei sensi che dalla parola alla scrittura, dalla lingua alla mano, si sarebbe estesa cibernetica (agg. f. s.) nell'immagine, nel tuo occhio.
Ammalianti teorie sull'interazione dei sensi hanno riempito pagine e pagine in secoli di letteratura, ancor oggi si indaga sulle mutazioni nella percezione del sensibile che i nuovi media consciamente e inconsciamente inducono, e io, sotto la doccia, ho avuto un'illuminazione.
Una progressiva estensione dei sensi ed una gerarchia degli stessi, vede nella storia dell'umanità un'iniziale predominanza dell'udito sulla parola. In pochi parlavano, e bene, in molti si stava in silenzio ad ascoltare. Sulla parola, dopo secoli e secoli di racconti epici e gobbi amanuensi, la scrittura prese il sopravvento. In pochi scrivevano, in molti leggevano, finché oggi tutti scrivono e nessuno ha tempo per leggere. Alla scrittura, segue l'immagine, il video, l'e-paper. Ingobbiti, artritici, accecati, homini videns che trascorrono ore ed ore davanti ad un schermo, ascoltando, parlando, leggendo, scrivendo, dormendo.
La lingua e l'orecchio sono appagati, la mano e l'occhio si danno da fare...
manca solo l'annusantissimo (part. pres., superl. ass.) naso.
Quando ero bambina esistevano in bagno 3,4,5 profumi essenziali:
Saponetta Palmolive
Dentifricio Colgate e/o Acquafresh
Dopobarba Floid
Borotalco
...e pochi altri.
Se eri pulito, se ti lavavi per bene, se per caso entravi in bagno dopo che qualcuno si era fatto la barba o se eri fortunato e come me avevi la doccetta a forma di pesce rosso, profumavi di questi 3,4,5 prodotti. Certo, c'erano altri profumi, altri saponi e dentifrici in commercio, ma tutto, o quasi, aveva un odore sintetico, creato ad hoc, identificativo.
L'acqua di rose, era una delle poche eccezioni. Il tappo bianco, la bottiglia blu, identica ancora oggi.
Quasi tutti i bambini facevano lo stesso odore, quasi tutte le mamme usavano Ava o Dixan.
C'era una democrazia dei profumi. Se eri sporco, puzzavi, se eri pulito, profumavi "di pulito".
Tra sollecitazioni sempre maggiori , stimoli sempre più forti, scaffali stracarichi di detergenti ed un box doccia strapieno di prodotti al profumo "di Magnolia Bionsen Freisa Mandorla Pantenricci Sandalo Limone Garnier e thè verde", tra il vapore dell'acqua bollente e la stanchezza di una videns giornata, ho colto il senso ultimo dell'evoluzione.
Oroscopi, leggende animiste e tribali vogliono che l'evoluzione dell'umanità rispecchi la vita del singolo uomo. Vi è un'epoca in cui l'uomo nasce e non a caso emette solo qualche incomprensibile verso. Vi è un'epoca in cui l'uomo cammina ed i suoi passi lo conducono ad un banco e ad una penna. O meglio, vi è un'epoca in cui l'uomo cammina ed i suoi primi passi lo conducono in una scuola occidentale, in una fabbrica mediorientale o a morire di fame sotto il sole africano. ...e non a caso imparerà a esprimere con parole di senso compiuto, i primi significati che saprà apprendere tra una difficoltà e l'altra. Vi è poi un'epoca in cui l'uomo legge, scrive, si accultura, lavora, compila, elenca, ammucchia e non a caso mette una firma o una croce. Vi è infine un'epoca in cui l'uomo siede e rimane a guardare, osserva il mondo, attende un feedback dalla realtà. Immagini piene, colorate e dense di significati da osservare per intuire il senso di tutto, un attimo prima che qualcun altro l'afferri. La senilità... un attimo prima che la morte l'afferri.
Prima di arrivare al dunque... perché un dunque, davvero, c'è... aggiungerei inoltre che...
Per millenni la chiesa cattolica ha ottenebrato le menti e mortificato le carni amputando la vista, la lingua ed il tatto, osannando l'udito e obnubilando la mente con badilate di incenso. Inebetiti adepti salvati dal caos dell'esistenza a suon di omelie ed al ritmo incessante delle preghiere.
L'incenso è una trovata geniale.
ed eccoci al punto.
Mi sembra sempre più evidente che l'epoca della democrazia del profumo sia da tempo svanita.
Felce Azzura diventa un'ammorbidente ed il bagnoschiuma non è più bagnoschiuma ma un'esperienza unica e irripetibile di casalinga Aromatherapy. Il sapone per il bucato al marsiglia dal cilindro della Henkel esce come Bio Presto ai Fiori di Bosco.
Il santissimo balsamo Gaia in flacone formato famiglia color can che fugge, lascia il posto ad ammalianti stordenti profumi di Cocco, Vaniglia, Kiwi e finanche di Aceto di Mora.
Ma soprattutto...
La saponetta Palmolive (o il saponetto, come qualcuno suole ancora chiamarlo) si è liquefatta in snelli dispenser con
"Confezione accattivante
che mostra colorati paesaggi marini
e una formula dermatologi-camente testata,
così delicata da essere adatta per tutta la famiglia."
...con buona pace del mio pesce rosso doccetta.
Ecco dunque che sotto l'acqua bollente della mia doccia, inebriata e confusa dallo shampoo al the verde e magnolia... ho concepito l'ultimo passo dell'evoluzione della nostra specie.
A breve sorgerà una nuova era.
La nuova demagogia creerà un nuovo mostro.
L'incenso non potrà nulla contro l'avvento del quinto senso.
I governi riuniti, gli intellettuali in simposio ed i nuovi e-book, ne parleranno a iosa.
Sarà sempre più pressante il problema, una nuova solitudine accerchierà l'individuo e la rinoplastica non potrà nulla contro questo flagello.
Già le prime avvisaglie dovrebbero mettere in guardia chiunque...
Del resto appare ormai evidente... che La Puzza si sta impossessando di noi.
domenica, agosto 10, 2014
Dei miei entusiasmi e delle mie ombre.
Non sono folle.
Ho fonti inesauribili di energie
come fucine di emozioni. Infinite.
martedì, luglio 29, 2014
Il miele
Il miele scioglie ogni magone.
È così dolce che non puoi tirarti indietro e non ti aggredisce come la vaniglia e non ti provoca come lo zucchero.
Ci volevano delle ore, infatti.
Adesso un po' meno.
mercoledì, luglio 23, 2014
Sfiorarsi
Se potessi toccare il mistero che è in me, in lui, lei...
Se potessi per un attimo, uno soltanto, avvicinarti talmente tanto da poterlo sfiorare... come ti avvicineresti?
Perché vedi, sfiorare qualcuno è difficilissimo. Ci sono segni, spiragli, angoli bui e porte da attraversare.
Io deliberatamente divento un labirinto. Io non mi lascio attraversare dritta. Lascio aperta ogni via di fuga però, porte d'uscita spalancate.
Se potessi, tu come faresti?
Non è materia fluida o inconsistente il mistero che tu e io ci portiamo dentro, per quanto nascosto, è pulsante e denso.
Io divento un labirinto, perché devo essere sicura che davvero vuoi, se arrivi a sfiorarmi.
venerdì, aprile 25, 2014
I pezzi più piccoli
io me lo ricordo il momento in cui mia mamma prendeva tutti i resti delle mie uova di pasqua e li rinchiudeva in un barattolo. "per farci le torte" diceva, e poi restavano lì per mesi mentre io li guardavo in alto sulla mensola stretti stretti dentro il vetro. che mi sembrava un tortura, non tanto per me, quanto per i pezzetti più piccoli, schiacciati al fondo.
mercoledì, maggio 29, 2013
domenica, marzo 25, 2012
Ho una colonna di marmo dentro.
È lei in me e sono io in lei.
Poggia sulla mia spalla e sale lungo il collo fino alla testa.
Tesa e contratta come un arco, aspetto che scocchi o che si spezzi.
Per non stringerla l'avvolgo.
Ho in me una colonna di ghiaccio.
È dentro di me e io dentro lei.
Non la tocco, non mi lascio toccare.
Vi scivolano lucide le mie gocce e si freddano.
Non mi sciolgo. Non si scioglie.
Sono venti, vortici di venti.
Mettono scompiglio anche quando ho voglia di calma, di fidarmi.
Ho due colonne dentro, s'alzano alte come venti.
Una ad oriente e una ad occidente dei miei pensieri.
Mentre io mi allontano senza direzione.
giovedì, marzo 08, 2012
Preghiera di una donna stanca d'esser donna.
La Vostra fortuna è d'esser uomo.
La Vostra fortuna è la Vostra dannazione e la mia, o Signore.
Vi chiedo di non avermi più in grazia, perché questo corpo così grazioso e avvenente, è già alla mercé di ogni passante.
Dov'io non potrò difendermi da quello sguardo colmo di desiderio e vuoto di intenti delicati, abbandonatemi anche Voi, se potete.
Io non so, o Signore, se qualcuno vi ha mai rivolto l'umile invito a riflettere sullo sguardo, proteso e un po' sfacciato, di un uomo tale a Voi, al cospetto di una donna.
E' uno sguardo senza casto ardore, è uno sguardo prepotente.
Dio creò l’uomo a sua immagine,
a immagine di Dio (κατ΄εικόνα θεού) lo creò,
maschio e femmina li creò. (Gn 1,27)
Creaste a Vostra immagine, uomini incapaci d'aver rispetto, tra ciglia e lacrime, per una donna.
E' uno sguardo che si appropria, il Vostro, e senza chiedere permesso.
E' guasto, è uno sguardo che assale e lascia senza minima difesa.
Non c'è vergogna né onore, ed è violenza, pura e misera, come miseri sono i pensieri che l'accompagnano in silenzio.
Il Vostro sguardo, d'uomo, è l'artifizio più meschino per tenermi a testa china e spalle basse.
Per questo, o Signore, io Vi prego, di non guardarmi da lassù, così che almeno io, da terra, possa levare gli occhi al cielo e senza vergogna, fissarvi finché anche voi vi sentirete spoglio ed umiliato.
E capirete.
giovedì, novembre 24, 2011
re-edit | Io lo schiaccio alla cazzodicane.
Questa è una di quelle cose banali che quando capita di notarle mi ripropongo di scrivere e poi puntualmente dimentico. Oggi l'ho ricordato.
Numerose circostanze ti lasciano avvertire di poterlo fare...
Che il mondo andrebbe diviso tra...