La sensazione di quando qualcosa di vecchio si allontana, ti si scolla di dosso, si porta via le sue forme, i suoi odori, le sue necessità. Quel momento in cui capisci, distintamente, che alcune cose sono ingombri enormi, e che le hai tenute lì, ferme, rassicuranti, perché portarle via era faticoso, perché non eri pronta o prima o poi avrebbero avuto un senso.
Luoghi in cui non guardi mai, che hai dimenticato, spazi in cui non entri se non quando hai da mettere da parte qualcosa d'altro. E solo quando ti decidi a buttar via tutto, ti accorgi che nell'istante in cui riponendoli credevi d'essertene liberata, avevi soltanto riempito un altrove più profondo.
Andrebbe trattenuto solo ciò che è leggero, pieno e non pesante.
Io questo me lo devo ricordare.
Mi chiese di scrivere una storia. Ascoltai ogni canzone di quella lista, una dopo l'altra, ogni notte, in metropolitana, mentre lavoravo e lavavo i piatti. Le ascoltai come mantra, le ascoltai credendo di dover trovar dentro un significato, un senso, un segno. Poi, nulla. Nessuna idea, nessun lampo, niente da raccontare. C'era una storia, delle storie tra quelle canzoni, attimi e momenti, e alcuni mi sembrava di riuscire ad immaginarli perfettamente. Ma non c'era nulla che mi sembrasse importante, nulla che valesse un racconto, non c'era una storia unica e assoluta. Così tornai da lei e le restituii sconfitta la sua lista.
Non c'è storia, le dissi. Lei mi sorrise. Non c'è musica forse, rispose strizzandomi l'occhio.
Ci sedemmo nello stesso bar, allo stesso tavolo, con la stessa cameriera e nessuna bicicletta legata in strada. Due caffè, chiesi. Non mi piace il caffè, lo sai, mi rimproverò. Lo so, ma abbiamo bisogno di roba forte, le spiegai secca, ridendo. Che c'è? Me lo spieghi? Mi hai fatto tornare in questo bar e per fortuna oggi non piove, ma che ci facciamo qui? mi incalzò mentre ancora ordinavo la colazione. Aspetta un attimo, risposi, e finii di ordinare.
Perché hai ordinato anche i pancake? mi chiese. Erano in una delle tue storie, replicai sorridendo. E lei di rimando sorrise di più.
Il punto, iniziai a spiegarle, è che io tra quelle canzoni non sono riuscita a trovare te. Ti ho cercata, ti ho inseguita, ti ho visto ragazzina, ho capito che non dovevo cercarti in Buonvino, ma erano tutti pezzi slegati. Quella che sei adesso, dov'è?
Era una domanda ruvida, fatta in modo troppo brusco e sapevo d'essere invadente. Così aggiunsi... Io voglio scrivere di lei, di te, attraverso quelle storie ma senza farti attraversare il passato. Potrei scrivere una storia per ognuna di quelle canzoni, ma non è La storia.
Lei mi ascoltava, sorrideva ancora e ancora, ogni tanto si distraeva schiacciando con il dito dei granelli di zucchero sul tavolo. Non parlava, sorrideva compiaciuta e basta.
Sorridi perché sto dicendo un sacco di cose senza senso? domandai a quel punto. No! mi rispose. Continua... mi chiese.
Ho finito, non la so scrivere, ecco, tutto qui, conclusi. Mi guardò con un'espressione felice e soddisfatta. Perché mi guardi così? domandai ancora, sorridendo anch'io stavolta.
Vedi... iniziò... quando ti chiesi di scrivere quella storia, non avevo idea di quanto fosse complicato. Speravo che bastasse farti ascoltare quelle canzoni, rivivere le mie storie, per farti trovare un filo logico. Sapevo, ero sicura, che tu avresti saputo raccontare ognuna di quelle canzoni e creare una storia unica e ricca, che bastasse a se stessa, come un collage.
L'ascoltavo e già sentivo crescere in me il fastidio per averla delusa, per non essere stata all'altezza. Iniziavo a cercare dentro di me il modo di giustificarmi, di spiegarle perché non ero riuscita a scriverla, la sua storia. Lei se ne accorse e si fermò. Perché ti sei fermata? Vai avanti, le dissi aspra. Lei capì e continuò.
Poi, ripensando a quel pomeriggio al bar, mi sono ricordata del tuo silenzio. Del mio? dissi. Sì, del tuo silenzio quando ti diedi la lista. Restasti in silenzio e lì io capii che tu sapevi di non dover chiedere perché non sento la musica. Sarebbe stata la domanda sbagliata, avrebbe rovinato tutto. E tu l'hai capito.
Io non riuscivo più a seguirla, cercai di riflettere ed era tutto confuso. Non riesco a capire e non ho saputo scrivere la tua storia, mi dispiace, le dissi quasi sottovoce.
Lei prese un granello di zucchero e me lo mise sulla mano, io alzai lo sguardo e vidi che sorrideva raggiante. Un gesto inutile, pensai.
Ecco, disse, è un momento come questo. Il pensiero che stai facendo adesso, il pensiero che hai fatto quel pomeriggio quando non mi hai chiesto il perché o quando non hai domandato cosa diavolo stessi ascoltando nella mia testa, visto che non c'era alcuna musica nell'aria. Mi capisci?
Restai in silenzio e lentamente mi sentii sorridere. Avevo capito ed era anche semplice.
...nella musica non ci sono questi silenzi, la musica non sa descrivere l'attimo in cui questo granello di zucchero poggia sulla mano e il pensiero che ne segue. Lo può scrivere, ma non ha suono, come non ha suono lo zucchero che scivola nel tè ed è una danza, come non ha suono la danza del pulviscolo di polvere nella luce del sole mentre la guardi o non ha suono quella ventata che ti avvolge e ti confonde i sensi mentre sei seduto per terra e aspetti qualcuno. Non ha suono l'odore dell'aria in un'isola lontana mentre qualcuno promette di proteggerti. Non ha suono il sapore dello sciroppo d'acero sui pancake. Non ne ha nemmeno il colore di un taxi mentre vi chiedete chi è dei due ad andar via. Puoi descriverlo, ma non ha suono, né parole. Sono quegli attimi lì, gli attimi impercettibili in cui è fantasia solo il rumore della realtà, quelli in cui una storia, La storia, prende senso...
Ma non ricordo se queste ultime parole, le dissi io o lei.
Mi sono addormentata tra le tre e le quattro, stanca, dopo una giornata piena. Mi sono svegliata alle cinque e avevo lasciato il pc acceso, mi sono rigirata fregandomene. Mi sono svegliata ancora alle sei dopo un incubo e mi sono riaddormentata. Alle nove ho ricevuto una telefonata del buongiorno e chiuso il telefono ho continuato a dormire. Non ho avuto altri incubi. Il computer è rimasto così com'era. Il telefono non ha più squillato, per fortuna.
Mi sono alzata, sono andata in bagno, ho tirato su i capelli con uno spillone, mi è scivolato, mi sono chinata e sollevandomi ero davanti allo specchio e...
...avevo gli occhi belli. brillanti.
Ed era il giorno giusto per farlo. e ho riso. ecco, tutto qui.
Quindi presi a chiedergli della questione del fagiolo. La trovavo interessante. Dietro la veranda e il tetto in legno, sopra il granaio, si vedevano nuvoloni minacciosi. L'aria era fresca, ci sedemmo sul marciapiedi in attesa dell'acquazzone e lui mi disse:
«Lei non ne sa molto di fagioli, vero?»
«No, non molto.»
«Ecco, allora immagini un baccello. Ci riesce?»
«Sì.»
«Bene.» e cominciò «Un fagiolo cresce chiuso in un baccello. E' protetto, ingrossato dalle piogge, rigoglioso se la pianta è rigogliosa, ha il suo posto e ci sta bene. C'è da dividersi lo spazio, in un baccello, sembra che ognuno debba farsi largo, spingere e dibattersi per gonfiarsi senza limite, penserebbe un po' chiunque. E invece no. Un fagiolo in un baccello si stringe e allarga come può. Si solletica della peluria del suo guscio e all'umido sta fresco. Il fagiolo non ci pensa a quanto spazio ha lì intorno. Non si cura degli altri semi tra le valve. Lui cresce e gonfia allegramente ed è il baccello che s'allarga in proporzione. Mi capisce?»
«Mi sembra un buon suggerimento.»
«Lo credo anch'io.» aggiunse infine «Ora cerchi di godersi questa pioggia. In primavera, gli acquazzoni, imperlano anche le piante più selvatiche.»
perché è di polvere, la bellezza, su un pennello da trucco
perché non è uno sguardo che cerchi, è una lusinga
perché anche imbarazzarsi con eleganza, non è facile
perché non è uno sguardo in più è il suo di sguardo
perché in silenzio le tue ciglia scatenano tempeste
perché vuoi che sia curioso di guardare dentro
perché lo avvolgi tra i capelli, il tuo profumo
perché sai provocarlo a guardare sotto
perché ti ceda il passo ma per rispetto e cavalleria
perché guardi i tuoi occhi, mentre ti stringe
perché è in un gesto della tua mano, una sensualità immortale
il titolo è un riferimento ad un commento che mi ha colpito molto.
cri|stal|le|rì|a s.f. assortimento di oggetti di cristallo
Chi non perdona gli altri distrugge il ponte nel punto in cui anche lui deve passare. Proverbio africano
Il genere umano non può sopportare troppa realtà. T.S.Eliot
Anche la lotta verso la cima basta a riempire il cuore di un uomo. Bisogna immaginare Sisifo felice. Albert Camus
Talvolta si prende come cattiva abitudine l'essere infelici. George Eliot
Seri bisogna esserlo, non dirlo, e magari neanche sembrarlo. Seri si è o non si è: quando la serietà viene enunciata diventa ricatto e terrorismo. Pier Paolo Pasolini
Dire 'secondo me' è il fondamento della laicità. Carlo Flamigni
[...] ché perder tempo a chi più sa più spiace. Dante Alighieri
Le famiglie felici si somigliano sempre l'una con l'altra: ogni famiglia infelice lo è in un modo particolare. Lev Tolstoj
Le citazioni sono utili in periodi di ignoranza o di oscure credenze. Guy Debord
Sono partigiano e perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti. Antonio Gramsci
Se vuoi, sarò irreprensibilmente tenero: non un uomo, ma una nuvola in calzoni. V. Majakovski
È davvero strano che un indovino non rida quando incontra un altro indovino. Catone il Censore
A parità di energia, la verità vince sulla menzogna. Albert Camus
Forse, a ben pensarci, un pazzo non era che una minoranza formata da una sola persona. George Orwell
A memoria di rosa, non si è mai visto morire un giardiniere. Denis Diderot
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