C'era la pioggia che non cadeva sotto i cornicioni. Potevi stare ad aspettarla per ore, e non sarebbe caduta comunque, lì sotto.
C'era una pioggia, una precisa, che lì sotto non cadeva. mai.
Così ho iniziato a camminare sotto i cornicioni, in città, per non bagnarmi, inutilmente.
Così ho iniziato a camminare sotto i cornicioni, in campagna, perché pioveva dentro, a ragione.
Ha piovuto tanto che ho iniziato a cercare cornicioni ovunque.
Credo d'averlo costruito persino, un cornicione, dentro di me.
Poco sopra, alle finestre, ho affacciato i miei umori pazienti.
Sanno aspettare che smetta di piovere, ovunque.
giovedì, agosto 29, 2013
I cornicioni
mercoledì, aprile 14, 2010
Il glicine.
Tra qualche giorno sbocceranno i fiori di glicine della Iole. Prima che il muro si trasformi in vite e i fiori in grappoli, la Iole ne raccoglierà uno e lo metterà dentro un bicchiere sbeccato sul davanzale alla finestra.
In quei giorni all'alba, Jerry, il gatto grigio, si strofinerà oltre il vetro con la coda aspettando che la Iole arrivi con le sue pattine, ad aprire.
La Iole leggerà il giornale e Jerry berrà il suo latte tiepido per poi tornare alla finestra, grattando sul vetro.
Lei si alzerà, aprirà appena le imposte e rimarrà a guardarlo mentre sgattaiola fuori sulla via.
Sogna di entrare nelle case della strada la Iole, per vivere sette o mille altre vite, ecco perché raccoglie un grappolo di glicine non ancora sbocciato.
mercoledì, settembre 02, 2009
mercoledì, luglio 01, 2009
mercoledì, aprile 29, 2009
Scherza coi santi, ma lascia in pace i fanti!
Sarebbe possibile avere un guscio d'uovo dove rinchiudersi?
Ah, e se non crea troppo disturbo lo vorrei bianco.
E mentre ci siamo, se rinasco, posso rinascere uomo?
.
lunedì, marzo 30, 2009
domenica, marzo 22, 2009
Aggrovigliandolimi
Sono trascorsi tre giorni e ancora nulla. Mi sono detta allora, poco fa, di ingarbugliarli e di scriverli come vengono, questi pensieri. Per liberarmene, se non altro. Tre giorni, tre pensieri, accavallati e senza legami, almeno apparenti.
Il primo è stato, così esattamente formulato: "che cosa lega le persone?"
L'altro ieri avevo iniziato a scrivere una traccia, che è questa:
"E' una corda, che si insinua come serpe scivolando sotto il pollice, tra indice e anulare, sopra il dorso poi girando intorno al polso e con un balzo sopra l'altro... o vola come un passero, si poggia sopra il dorso e con il becco spinge il pollice, accompagna sotto il medio e gira un fiocco attorno ai polsi... è una corda che si stringe sotto l'acqua, strofina sulla pelle e tiene forte tra le dita.
E' un silenzio lungo quanto un desiderio...
è un dialogo profondo e vero come un libro ancora scritto... è uno sguardo che tiene a bada la distanza."
Ma non ero soddisfatta. Troppo malinconico per i miei gusti, ed i miei gusti appunto, a volte, sono in aperto disaccordo.
Il secondo pensiero non aveva formulazione esatta, ma piuttosto una descrizione evocativa, ed anch'esso una domanda: "perché quest'esigenza di vomitare la propria identità nella rete?", per l'appunto era più esattamente un'immagine tradotta in un quesito.
L'ultimo, non era espressamente un pensiero, ma una volontà che non ha preso forma. Volevo portare Carmelo Bene su questo blog, in un video. Purtroppo non sono riuscita a trovare quello che più si intona all'atmosfera. Perché sì, sono convinta che anche in un blog vi sia un'atmosfera, spessa o rarefatta, armoniosa o graffiante, ma pur sempre un'atmosfera. Ed io non volevo graffiarlo, il mio blog.
Approposito, mentre ci siamo, eccone un quarto.
Mi irritano le strisce che i jet lasciano nel cielo, sono graffi. E se per caso proprio in quel momento ti urge una foto, la cornice per un bacio, per un ricordo o semplicemente hai voglia di alzare il naso in su, ecco che ti strappano lo sfondo:
Non è del tutto esatto attorcigliare i miei pensieri senza aggiungere Yann Tiersen e il sopravvento di un ricordo, di un ricordo nel ricordo. I dettagli, due, del mio qui, ed ora, mentre scrivo.
Vomitarsi nella rete. Come un'urgenza che ti pizzica, un'ondata che dal ventre si propaga alla tua bocca (nell'immagine che vedo), alle tue mani (nella realtà dei fatti). Quindi mi chiedo, ma poi, torna indietro? Cioè, se parte dal ventre e sale al cervello, fa per uscire dalla bocca, ma poi prosegue di nuovo giù nel petto, fin sopra le tue mani e poi su ancora ai tuoi occhi, devi proprio essere consenziente e non distratto! Il tuo essere si vomita nella rete, col tuo nome, la tua immagine, i tuoi gusti, finanche ad appuntare come dormi, mangi o siedi e tu lo guardi proiettarsi, compiaciuto. Beninteso, anch'io mi firmo, mi fotografo e mi propago, ma se non altro (credo, almeno) ne ho coscienza e volontà. E se si sgretola la maschera? Perché questo demandare alla rete la tua identità? Ti è sorto il dubbio su chi sei? Che sia il caso di vederti confermato da orde di amici annaspanti come te?
Già. A volte vomitarsi nella rete è un po' come dormire, alleggerirsi la coscienza. Ecco: "per alleggerirsi l'identità".
Cosa lega le persone è un'immagine, semplice e precisa. Sono due mani, una destra ed una destra, unite in un saluto, in una stretta o più esattamente nella versione orizzontale di una mano salvata da un burrone, legate da una corda. E' l'intreccio del legaccio a distinguere le unioni. Per quanto evocativa però l'immagine non risponde alla domanda. Cosa.
I gusti, gli odori, la chimica, la casualità, il sangue, i difetti, la fisionomia, il destino o nulla. Ecco, il punto. Nulla. Che accada così per caso, che per pura volontà si scelga di essere legati. Che le affinità elettive siano pura volontà? A volte non si sceglie, accade e basta. anche tuo malgrado.
Ho tentato un'altra volta. L'ho rivisto e riascoltato. Forse non si romperebbe l'atmosfera, forse è proprio lui, come un bellissimo foulard, che non si abbina mai su nulla. Hai voglia di provarlo e riprovarlo, Carmelo Bene è quel foulard. Allora mi sono ricordata. Alessandro Baricco in un articolo, l'ho ritrovato:
"Non spiega quasi nulla, Carmelo Bene, durante lo spettacolo. Solo un paio di volte annota qualcosa. E quando lo fa lascia il segno. Dice: leggere è un modo di dimenticare. Testualmente, nel suo linguaggio avvitato sul gusto del paradosso: leggere è una non-forma dell'oblio. Non so gli altri: ma a me m'ha fulminato. L'avevo anche già sentita: ma è lì, che l'ho capita. Scrivere e leggere stretti in un unico gesto di sparizione, di commiato. Allora ho pensato che poi uno nella vita scrive tante cose, e molte sono normali: cioè raccontano o spiegano, e va bene così, è comunque una cosa bella, scrivere. Però sarebbe meraviglioso una volta, almeno una volta, riuscire a scrivere qualcosa, anche una pagina soltanto, che poi qualcuno prende in mano, e a voce alta la pronuncia, e nell'istante in cui la pronuncia, parola per parola, sparisce, parola per parola, sparisce per sempre, sparisce anche l'inchiostro sulla pagina, tutto, e quando quello arriva all'ultima parola sparisce anche quella, e alla fine ti restituisce il foglio e il foglio è bianco, neanche tu ti ricordi bene cosa c'avevi scritto, solo ti rimane come una vaga impressione, un'ombra di ricordo, qualcosa come la sensazione che tu, una volta, ce l'avevi fatta, e avevi scritto una poesia."
e con Rue de Cascades, mi sciolgo.
martedì, gennaio 06, 2009
La Sicilia
Un tempo per questa terra nutrivo un amore assoluto ed indiscusso...
prima di andar via, mi fermavo sempre vicino al mare e immaginavo cosa vi fosse oltre, ascoltando i rumori della città, aspettando che arrivasse il freddo della sera...
amavo il suo essere tanto solare e luminosa... piena di odori e colori sgargianti...
sentivo di appartenenerle come qualcosa di naturale, spontaneo, connaturato alla mia stessa esistenza...
Una radice lì profonda fino alle viscere del vulcano... attraverso i boschi giù fino alla sabbia ed il mare. Nel mio sangue poi, si mescolano le onde del mediterraneo e la neve delle alpi.
Adesso noto le sue brutture, ciò in cui muore e non risorge, i difetti e le insanabili ferite. Noto i suoi difetti con maggior rancore e sempre minor pazienza nell'accettarli... noto nascere in me, con grande malinconia, il rifiuto per ciò che potrebbe funzionare e non funziona.
All'inizio tornare mi lasciava sempre spaesata... uscita dalla stazione, il traffico, i rumori, il sole abbagliante, la confusione mi lasciavano perplessa, confusa, sfinita due volte. Nei giorni a seguire riprendevo il feeling, ritornavo ad amare l'anarchia ed il caos delle strade, il vociare della gente, i rumori della città...
Col tempo è diventato e diventa sempre più difficile riambientarmi... mi ritrovo infastidita da dettagli a cui nessuno fa più caso... cerco soluzioni che cambierebbero le cose... finanche a rassegnarmi a questo malessere impietoso che mi assale col trascorrere dei giorni.
Mi si rimprovera questo malessere...
quando accade mi sento talmente in colpa da desiderare di non essere mai andata via. Da desiderare di non aver mai visto quanto diverse potrebbero essere le cose...
Taccio... ormai, sempre, quando mi si chiede cosa ne penso... quando mi domandano che differenze noto... quando qualcuno inizia a difenderla senza misura.
Taccio anche quando mi si chiedono i suoi pregi... non perchè io non ne trovi, ma per non dover fare conti e confronti... in un senso o nell'altro.
Taccio quando, da sola, il mio spirito ritrova pace nel freddo delle mattine del nord... in quei giorni d'autunno gelidi e impietosi... in cui il cielo è terso e puoi vedere oltre...
non è fuori luogo ripetere e sentire che in me vi è l'autunno con le sue foglie brune e ghiacciate... stagione di mezzo.
mercoledì, ottobre 08, 2008
martedì, ottobre 07, 2008
Quando meno te l'aspetti...
un bicchiere di vetro
di latte
strofinare una mela sulla maglietta finchè non è lucida.
lucidissima
un libro
che inizia
scendere dal treno mentre qualcuno
ti sta aspettando.
fermarsi davanti ai suoi occhi
prendere nuove matite colorate
senza motivo
il miele
il vento che entra dentro le maniche, il cappotto, la schiena, la pancia
ubriacarsi di un profumo
di mazzi di fiori
all'improvviso in città
orologi e intrecci di vene
al polso che scrive
le mani sotto l'acqua calda
che scorre
un libro
all'ultima pagina
attorcigliarsi
il cielo in autunno
...puoi sentirne l'emozione.
sabato, ottobre 04, 2008
Ci sono otto gradi fuori e fa freddo.
Sono allergica alla camomilla. "Meglio che non beva nulla, non usi creme nè detergenti con estratti alla camomilla." Ci sono un sacco di cose alla camomilla. Incredibile.
Perchè lavano le strade? Per quale motivo...
Oggi ha piovuto tutto il giorno, lavano via la pioggia? Fanno un rumore inquietante. O sono io, inquieta.
Sulla scia di un estraneo, alle sue spalle, dal suo profumo, riesci, se hai fantasia, ad immaginare chi sia.
Ci sono uomini che profumano di rigore. Senza guardarli in viso, sentendo il profumo netto e ben dosato del dopobarba capisci che non è oggi il giorno in cui si sono rasati, ma che oggi è un altro dei tutti i giorni in cui si sono rasati. Il loro profumo non è casuale, è l'odore di anni di quel dopobarba.
Ci sono uomini che fanno odore di solitudine, altri che profumano di primo colloquio. L'odore del primo colloquio sa un po' di naftalina ed è spesso pungente. E' fastidioso.
Ci sono uomini che svengono in metropolitana e l'odore di cuoio delle scarpe e della borsa da lavoro riesce a coprire quello della paura, dell'imbarazzo.
A volte hanno ancora l'odore del vapore del ferro da stiro, odore di casa, territori marcati.
Se gli tieni dietro, quelli col passo spedito, hanno addosso il profumo di un'avventura, avranno gli occhi distratti ed un accenno di sorriso sul viso. Il loro profumo è quello che spesso si allontana più in fretta e la sera, tolta la giacca, la cravatta e le scarpe, ritornano a fare odore di vecchio.
Se sono stranieri l'odore è più tenue. Se sono depressi l'odore è felpato, sa di piombo di carta e di stropicciato.
Lavano via gli odori. di notte. le strade.
...ed io detesto quello della vaniglia.
giovedì, ottobre 02, 2008
...e se con le mani
che prima erano lì profonde nelle tue tasche
con leggerezza e distrazione
prendi un filo giallo
e lo srotoli,
la tua mente, ora, dove arriva?
Dove lo porta il tuo pensiero ed i suoi passi?
Incede?
o striscia sporcandosi di terra?
Puoi sentire il sapore del cotone nell'aria fredda di mattina?
Si è annodato?
Per dio, scioglilo.
o ingarbuglialo per sempre.
Hai lasciato andarne il capo o lo tieni ancora tra le mani?
Si è fermato lì ai tuoi piedi? ...o gli hai messo un piede sopra?
Vuoi una cruna con un ago?
Sei un cammello?
Lo raccogli da una pozza? Si è bagnato e non si muove?
Soffia forte che si asciuga.
Se l'hai perso già di vista, guarda bene nelle tasche.
...ma se vola via leggero,
stagli dietro e non staccarti
forse in volo si è impigliato
alla piuma di un uccello.
giovedì, settembre 25, 2008
Collage
Michael Moschen
Conceptual Contact Juggling
TUTTO PUO'
SUCCEDERE
- Ricordatene. Devi fottertene. Tutte le bocce di cristallo che avrai rotto erano solo vita … non sono quelli gli errori … quella è vita … e la vita vera magari è proprio quella che si spacca, quella vita su cento che alla fine si spacca ……. io questo l’ho capito, che il mondo è pieno di gente che gira con in tasca le sue piccole biglie di vetro …. le sue piccole tristi biglie infrangibili …. e allora tu non smetterla mai di soffiare nelle tue sfere di cristallo … sono belle, … ci si vede dentro tanta di quella roba … è una cosa che ti mette l’allegria addosso … non smetterla mai … e se un giorno scoppieranno anche quella sarà vita, a modo suo … meravigliosa vita.
Alessandro Baricco
Castelli di Rabbia
lunedì, settembre 22, 2008
Capita quando ti senti in nessun posto e da ogni parte
quando la pioggia è il mare di questa città
e campi di girasoli spenti
e aironi in volo
e la laguna
mentre ti chiedi cosa faccia quell'uomo
allontanandosi da venezia
su una piccola barca
al tramonto
Nell'istante in cui l'oro
diventa bronzo
così avorio
e poi argento
e
antichi narcisi
fioriranno nei boschi
tra la brina
e poi nel ghiaccio.
l'autunno.
giovedì, settembre 18, 2008
Mentre scrivo e penso...
... ciò che più vi si avvicina al suono della mia mente, adesso.
Passe partout. Un biglietto per il mondo, che possa uscire dalle mie tasche per lasciarmi passare... ovunque. Passare silenziosa tra le fessure nelle soffitte, scivolare dove gocciola la resina, tra i fili di una collana impigliata nei capelli, passare nel buio senza esser vista e strisciare acquattata come un gatto sull'asfalto di una strada. Voglio un biglietto per il mondo, una chiave di lettura o di volta, per capire, attraversare tutto, entrarci dentro e se necessario stravolgerlo. Superare un cancello, mettere un piede in un'acqua sacra, rotolare con le conchiglie sotto il mare in tempesta, voglio aggrapparmi ad un soffione e galleggiare nell'aria.
Rumori scomposti e tamburi che accompagnano il passo. Un biglietto per il mondo che apra grandi portoni e porte invisibili. Una collezione d'impronte per ogni passo ed una parete piena di fotografie senza senso. Scie di lumache che luccichino al sole come labirinti per indicarmi la strada, con passi lenti e decisi, senza incertezze che scompongano il portamento. Strane creature i pesci. Passare sulle corde dei violini per risentir tremare al taglio il legno di un albero, ancora e ancora all'infinito.
Un biglietto per entrare silenziosa tra le tende di un teatro in attesa ed attendere che passi, quell'attesa spossante di ciò che deve accadere. Un biglietto per poter rimanere seduta tra le mura di una biblioteca per una vita intera. Per poter assaggiare con un dito tutte le spezie conosciute e rimetterlo dentro ancora se ne ho voglia.
Una chiave per poter aprire tutte le porte ormai chiuse, lasciarle lì spalancate un momento e richiuderle di botto. Una regola che valga sempre per sapere cosa è giusto, cosa vale per me e nessun altro. Cosa vale.
C'è un forziere ai piedi dell'arcobaleno.
lunedì, settembre 15, 2008
Sono dei lacci invisibili,
in me scorre il colore dei suoi vini, i suoi odori ed il suo tempo.
Passando un dito sulle labbra puoi assaggiare la pioggia che cade tra le foglie dei suoi viali
e negli occhi puoi vedervi il bianco del cielo terso dopo il temporale.
Mi tiene come incatenata.
I suoi volti, gli sguardi,
il rumore delle voci,
sono i tratti delle genti che popolano le mie terre
invisibili.
Mi chiama a sè.
Vi ritorno ed il mio respiro si placa come dopo una gran corsa
gli occhi si riposano,
attendono di ritrovare tra le strade le briciole che vi lasciai.
Mi strega.
Un nodo che dal ventre mi tiene legata.
Rallenta il battito del cuore
i sensi allentano la presa
e smetto di stringere i pugni
come un pesce che torni al mare
o un uccello che riesca a tornare al nido.
Mi possiede
da sempre.
Nel mio sangue scorre il colore bruno
di regioni lontane
scaldate dal sole
e le tinte fredde e brillanti
delle sue terre
avvolte nell'inverno.
Ma sono sua
da sempre
senza che io l'abbia mai saputo.
In me vi è l'autunno.
Stagione di mezzo.