mercoledì, ottobre 09, 2019

La prima aveva un tavolo di legno e un pesce alla tv. Vetri lunghi, un maglioncino d'angora spumoso e jeans con i bottoni a forma di gelato. Gazze ladre all'alba e nespole oltre il giardino. Tele umide, alberi a pastello e un cane a dondolo color arcobaleno, prova certa del gusto dubbio di Babbo Natale. Una casetta di stoffa coi porcellini. E un lupo. Un corridoio dei passi lunghi, un ripostiglio da cui prendere la rincorsa e un telefono sip unico nascondiglio del facoltosissimo topolino dei miei denti. Aveva una scatola di mattoncini pieni e una fila di matite dalle infinite sfumature. Aveva una maniglia rotta e una collanina di corallo.

La seconda aveva un'abat-jour gialla, una lanterna per i treni e un pesce in copertina. Era lunga un metro e settantaequalcosa di giochi fatti su misura. C'era uno scivolo per le pulci, una zanzara che era impossibile stecchire, a meno che non fossi io a morire dalle risate. Era piccola e di passaggio.

La terza aveva libri e riviste in ogni dove, un gatto grigio e pochi quadri alle pareti. Alte finestre dai vetri fin troppo spessi e un grande letto su cui saltare se nessuno ci vedeva. Aveva due piccole risate, di cui una tenera e biondina. Corridoi paurosi nella notte e piste da corsa per il giorno, capanne, un'altalena e spettacoli teatrali di indiscutibile prestigio. Un giradischi, jazz, un tappeto dove ballare o stendersi a pensare, un cane alto ed uno basso. Aveva il profumo della torta di carote e del cream caramel nel forno. Aveva angoli netti e ben precisi.

La quarta aveva un lungo corridoio in marmo e un balcone misterioso. C'era il tavolo in legno e un pesce in forno. Aveva avventure sconfinate e nei fine settimana odore di resina e castagne. C'era carta dappertutto ed un pulcino a forma di candela su ogni torta. Era una famiglia tutta nuova.

La quinta aveva tre tazze di latte caldo, un raggio di sole e due gocce di caffè. Un dondolo spericolato e una bicicletta tutta rosa. Mele caramellate e bomboloni, cartoni animati e un piccolo lucchetto a un diario. Il tavolo in legno, fiori a colori sui pantaloni e secchi dentro i vasi. Aveva bisticci indemoniati e un dente perduto chissà dove. C'era profumo di torta alle mele e nel weekend di funghi e miele. Aveva due letti vicini e tantissime cose da dire ad ogni ora. Aveva salami appesi alle pareti e un piccolo fagiolo da allevare. Aveva qualcosa di semplice e normale.

La sesta custodiva ancora il mio letto di legno. C'era un posto per me ma stanze e scaffali così pieni di roba che anch'io non sapevo mai se restare. C'erano lì i racconti dei miei viaggi lontani e una porta chiusa sopra i ricordi più vecchi. C'era la mia assenza e silenzi strani.

La settima aveva risate accese e lunghi pianti. Un gatto grigio ed uno bianco. Una cucina gialla, una tenda verde e una bicicletta tutta rossa. All'improvviso spaghetti lunghi e penne corte. Era uno scompiglio che si è rivelato una fortuna.

L'ottava era gialla! Aveva un continuo vai e vieni di gente misteriosa. Il caffè del pomeriggio, i corridoi sempre in pigiama, i libri letti tutti d'un fiato a notte fonda. Un topolino avventuroso, una spalla scoperta, un piercing alle labbra e yogurt a cena. Aveva il naso gelido al mattino e un vento ubriacante d'estate. Aveva muri leggeri, fucili ad acqua e una collezione di foto alle pareti. Aveva la luce brillante di chi ha assaltato il cielo.

La nona ha pesanti muri di pietra ma cuori leggeri. Ha scale che s'avvitano e porte aperte. Ha vino, fumo e risate a crepapelle. Ha il profumo del pomodoro e pezzi di stoffa ovunque. Penne ai capelli, figlie che vanno e vengono, pantofole rubate. Ha il ritmo giusto del loro amore.

La decima aveva stanze larghe e pensieri stretti. Bacchette cinesi, lunghi riccioli biondi, riviste alla moda e dolcificanti. Aveva cinque rumori di tacco differenti e non un parere in comune. Aveva un armadio rosso e un buffo furetto bianco. Aveva macchie di tempera ai baffi, sciarpe puzzolenti nascoste dentro i cassetti e un metro e sessantaequalcosa di giochi notturni proprio a misura. Aveva una porta di legno leggera, pronta ad aprirsi per andar via.

L'undicesima aveva gambe incrociate fino a notte fonda. Finestre ghiacciate e risate calde. Topolini a due piani ed un cane peloso da accartocciare. Un vetro rotto e vasi da fiore ghiacciati. Tavoli pieni di spesa, bagnoschiuma in comune e un abbraccio forte e deciso all'addio.

La dodicesima ha ancora il tavolo in legno e pesci in padella. Ha pezzi della mia vita scomposti e ricomposti. Ha il mobile in legno, le sedie e il pulcino di cera. È il risultato più folle di tutti questi anni.

La tredicesima è ora. È qui. È quella col tetto in legno e i quadri appesi. Sono i miei libri, il mio computer, questo divano vecchio e la musica appena. È un guscio dentro cui sono rinata più e più volte. È il vento alle travi e l'albero di magnolie in fondo alla via. La ballerina di tango, il pianoforte che suona tra i camini spenti, il gatto Jerry e la Jole. È il mio passato e un assaggio del mio futuro. Un'orchidea, un Mirò, un pesce rosso, un'altalena, un angelo in pietra, un gatto e un'infinità di foto che a lungo ho conservato per una nuova parete.

È  uno stargate.
È questo coraggio che mi porto dentro che lotta da sempre con una paura folle dei cambiamenti.
Questo continuo cercare un posto al sicuro pur sapendo bene che avere una casa non significano quattro pareti.






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